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I primi 50 anni di vita dell’ospedale di Latina, un libro dalla “frontiera”

Rita Salvatori: "Ripercorrere la storia del Goretti per rilanciarlo"

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LATINA – Cinquant’anni in un libro che racconta con parole, immagini e documenti la storia non solo di un luogo, ma di un’intera comunità e di chi ha contribuito a farla crescere. E’ tutto nel libro “Ospedale di Latina. Un racconto lungo 50 anni” di Licia Pastore, Dario Petti e Rita Salvatori. Dalla cerimonia alla presenza nientedimeno che del ministro della Difesa Giulio Andreotti per inaugurare “l’ultimazione della copertura (il tetto) del costruendo ospedale Goretti” (era il giugno del 1959), al trasferimento in ambulanza dei pazienti dal vecchio ospedale civile al nuovo, avvenuta il 25 marzo del 1964.  Una storia che, letta oggi, fa un certo effetto: i ritagli di giornale testimoniano la consegna ai pazienti dei primi libretti sanitari (1965), l’appalto per il completamento del nosocomio (nel 1972), ma anche la prima operazione di cataratta, che nel ’76 era “un ardito intervento chirurgico” e dunque anche una corposa notizia che non sfuggì al cronista.

E poi l’emozione dei protagonisti, a cominciare dal racconto del manager Michele Caporossi che oggi guida la Asl per tirare fuori dall’emergenza la sanità pontina, avendo provato sulla sua stessa pelle che può fare miracoli: 47 anni fa lo ha restituito alla vita quando bambino era rimasto tramortito da una scossa da 10mila volts sulle rive del Colmata, proprio qui a Latina, ed era arrivato in ospedale “esanime e fibrillante” grazie alla corsa forsennata di un colono alla guida di una seicento.

“L’esigenza di andare a ricercare giovani radici fissandone i ricordi, è stata la spinta propulsiva di questo lavoro sulle origini dell’ospedale Santa Maria Goretti”, racconta la dottoressa Rita Salvatori. ASCOLTA

rita salvatori

“Cominciò con una tenda della croce rossa il servizio di assistenza ospedaliera alla popolazione insediatasi nella terra sottratta alla Palude Pontina”, ricorda Alfredo Cecconi, presidente dell’ospedale dal 1978 quando “apparve essenziale richiamare il Consiglio di Amministrazione a prendere coscienza che i tempi avrebbero richiesto uno sforzo straordinario anche al personale…. Tutti diedero larga prova di aver  compreso il messaggio”. Sotto la guida di Cecconi vide la luce anche il Padiglione Porfiri “per svolgere le attività contro il cancro”.

Una Fiat 850 coupè bianca zeppa di bagagli portò a Latina nel 1967 il radiologo Nicola Romagnoli per non lasciarlo mai più ripartire; la lunga gestazione per la Rianimazione, progettata dalla prima donna primario a Latina, Vera Russo; le certezze di giovane medico, Francesco Davoli, ridimensionate dalla fatica tra le corsie; la confidenza con il malato,  il lavoro di ieri fatto con “più spirito solidaristico nei confronti dei pazienti” emerge dalle parole di Eugenio Comandini; la nascita del servizio trasfusionale è raccontata da Francesco Tudini; come quella delle delle unità specialistiche della chirurgia, gli ambulatori, l’endoscopia nati sotto la guida di Roberto Tersigni; l’attività della pediatria iniziata solo nel 1973 con il severissimo Eugenio Varcasia e dei tre specialisti D’Onofrio, Minutoli e Don. E poi la prima capo sala, Ada Mosconi, assunta  il 1 settembre del 1967 alla quale “bastava entrare in ospedale per rendersi conto della situazione e capire se tutto andava bene o c’erano delle difficoltà”, perché “era come una grande famiglia”. Ancora, il ricordo della prima pietra, nel 1957, “lì dove attualmente si trova l’angolo del Centro Trasfusionale, di fronte all’ingresso principale”, in aperta campagna dove arrivò in lambretta Ignazio de Stefano, poi divenuto impiegato amministrativo del Goretti. La carrellata di storia e di storie, di donne e di uomini, si completa con un omaggio ai religiosi : le Figlie della Carità, capaci di progettare, organizzare e realizzare, Suor Iolanda, caparbia 82enne che in pediatria ha trascorso 23 anni, e Padre Osvaldo, il frate cappuccino cappellano del Goretti per 37 anni, figura simbolo dell’ospedale Civile di Latina dove è rimasto fino alla morte.

“Quando ha preso corpo l’idea di ripercorrere la storia dell’ospedale l’intento era di non disperdere la memoria di un luogo tanto legato alla comunità – chiosa Licia Pastore –  ma a questo si è man mano aggiunta la possibilità di rilancio dello stesso con l’augurio, per  la sanità pubblica, di tempi migliori degni del sacrificio e dell’operato di chi per ciò ha speso una vita”.

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