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PASQUA, IL MESSAGGIO DEL VESCOVO
Petrocchi: “Amate e lasciatevi amare da Dio”

Il vescovo Petrocchi

Il vescovo Petrocchi

LATINAIl Vescovo della Diocesi di Latina, Monsignor Giuseppe Petrocchi, nel suo consueto messaggio ai fedeli per il giorno di Pasqua, ricorda l’importanza non solo dell’amare, ma anche del riuscire a farsi amare.

Ecco il testo integrale del messaggio pasquale:

 Ancora una volta, in questa santa Pasqua, sentiamo risuonare, attraverso la Chiesa, l’invito appassionato dell’apostolo Paolo: «in nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20).

Questo richiamo commosso ci ricorda, con forza avvincente, che l’atteggiamento fondamentale di chi si apre all’annuncio del Vangelo non sta, anzitutto, nell’impegno ad “amare”, ma nella disponibilità a “lasciarsi amare” da Dio. È Lui, infatti, che ci ha amato per primo e ci ha chiamato a ri-amarLo e ad amarci con lo stesso Amore con cui ci ama. Per questo, il nostro è sempre un amore-eco – che porta il timbro della nostra libera e radicale adesione – poiché ridoniamo ciò che ci è stato offerto. Dunque, il primo verbo, che deve coniugare chi vive l’esperienza cristiana, non è “dare”, ma “accogliere”: infatti, proprio perché siamo disponibili a ricevere, possiamo a nostra volta corrispondere! La sorgente della vita cristiana, dunque, prima che dalla tensione ad amare, scaturisce dalla scoperta di Dio-Amore. L’affermazione giovannea, semplice e solenne: «noi abbiamo conosciuto e creduto l’Amore che Dio ha per noi» (1Gv 4,16), costituisce l’inizio gioioso e il fondamento evangelico di ogni passo mosso verso una “santità di comunione”. Per tale ragione, bisogna prima lasciarsi raggiungere da Dio, per poi cominciare ad “andare” – nella carità – verso Lui e verso gli altri; infatti, possiamo camminare verso l’Amore perché l’Amore stesso ci è venuto incontro, facendosi in Gesù “uno di noi” e diventando nostro compagno di viaggio. Se il Signore non ci avesse donato la Vita, noi saremmo rimasti chiusi nella “morte” dei nostri peccati e del nostro egoismo: assolutamente incapaci di arrivare alla pienezza della carità.

L’evento della Pasqua ci porta l’annunzio meraviglioso che la salvezza (cioè, l’integrale recupero della nostra vocazione di figli di Dio e della nostra identità di uomini), non è opera nostra (impresa, questa, per noi impossibile), ma ci viene gratuitamente messa a disposizione da Chi l’ha guadagnata per noi: il nostro compito è, in modo consapevole e attivo, far fruttare la grazia che ci viene elargita in abbondanza. Solo l’incontro con Cristo, crocifisso e risorto, può dunque renderci “creature nuove”, capaci di amare come Lui ci ama: infatti, il “comandamento nuovo” di Gesù (quello di amarci come Lui ci ha amato8), sarebbe una irrimediabile utopia, destinata ad essere tragicamente smentita dalla storia, se il Signore non lo attuasse “dentro” di noi e “tra” di noi. Possiamo amare Dio, noi stessi e gli altri, da veri figli Suoi, perché è lo stesso Figlio-fatto-uomo che ama “noi” e ama “in” noi.

Ecco il “miracolo” che avviene nel cristiano, se fa Pasqua nella Chiesa: diventa idoneo ad amare con la stessa Carità del Dio Uno e Trino, poiché «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). Affinché ciascuno di noi divenga capace di amare “con” l’Amore, è necessario – si passi la metafora ardita – che in noi lo Spirito realizzi gradualmente un “trapianto di cuore”, sostituendo – “pezzo dopo pezzo” – il nostro  (gravemente ferito a causa del peccato), con il cuore stesso di Gesùrisorto. Si realizza così la profezia di Ezechiele: «vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez 36,26). È a questa meta che ci orienta la Parola ed è per il raggiungimento di tale fine che ci sono dati tutti i Sacramenti. L’intero percorso del credente, per conseguire la perfezione della carità, può essere, dunque, paragonato a una progressiva “cristificazione” del suo cuore, per opera dello Spirito, fino a dire: «non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). È una prospettiva altissima, questa, che fa venire le vertigini: è in tale dimensione teologica che i Padri della Chiesa hanno parlato della nostra “divinizzazione” per grazia.

Solo un cuore trasformato in Gesù e reso capace di pulsare Vita trinitaria, può essere pronto a perdonare sempre; a vincere il male con il bene; a fare scelte controcorrente determinate dai “sì” e dai “no” che il Vangelo chiede; ad avere la carità che «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,7); a vivere e costruire, sempre e dovunque, la Chiesa-Comunione perché si realizzi il “testamento di Gesù”: “che tutti siano una sola cosa”!.

Del Signore noi abbiamo bisogno: se avessimo potuto da soli riscattarci dal male e realizzarci integralmente, Gesù non sarebbe finito sulla croce e non sarebbe risorto per darci la Vita che non abbiamo. È il dono del suo Amore che ci conferisce la luce per comprendere sempre meglio la Parola e il coraggio di attuarla nella nostra esistenza: infatti, la carità fa vivere la Parola, come la Parola fa vivere la carità. Siccome il peccato ci ha pesantemente “stonato” dentro, dobbiamo collaborare con lo Spirito del Risorto per sanare e armonizzare le corde del cuore. Chi si affida solo ai registri dei propri sentimenti, ama poco e ama male: non può, con la “strumentazione” danneggiata e scordata di cui dispone, eseguire la sinfonia evangelica dell’unità (con Dio, con se stessi e con gli altri), contenuta nello spartito della Parola. Siamo chiamati a sintonizzare la nostra anima sulle note dello Spirito per ristabilire la divina concordanza delle nostre facoltà: sotto questo profilo, la vigilanza del discepolo del Signore è tutta tesa ad amare meglio e di più, non a mortificare l’amore: «nessuno – esclama sant’Agostino – vi dice: non amate. Non sia mai! Sareste pigri, morti, detestabili, miseri, se non amaste. Amate, ma attenti a che cosa amate». Proprio l’Amore accende in noi la fiamma della Sapienza, che ci permette di riconoscere in ogni avvenimento la mano generosa e paterna della Provvidenza. La benevolenza del Padre celeste va anzitutto intravista in ogni “positivo” che fiorisce nella nostra storia. Tutto è grazia: infatti «cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto?» (1Cor 4,7), chiede a ciascuno di noi l’apostolo Paolo.

Questo vale sempre, anche quando i risultati soddisfacenti provengono dalla nostra iniziativa e dal lavoro che abbiamo profuso: infatti, tali esiti non avrebbero potuto essere conseguiti senza l’apporto concomitante di tanti fattori (personali ed esterni), che non dipendono da noi (es.intelligenza creativa, buona salute, incontri vantaggiosi, condizioni sociali favorevoli, educazione familiare saggia e costruttiva, ecc.). Ecco perché, nel vocabolario dei sentimenti cristiani, la prima voce da sviluppare è: gratitudine! Di conseguenza – se davvero siamo stati visitati dalla Luce che scende dall’Alto – è il canto del “magnificat”19 la preghiera che dobbiamo innalzare in ogni azione animata dalla carità: ricevuta, vissuta, donata e ricambiata. Ma nel nostro orizzonte non splende sempre il sole dell’allegria, spesso compaiono anche le nubi oscure della sofferenza. Lo sappiamo, il dolore può assumere innumerevoli fisionomie: c’è il dolore del corpo e quello dell’anima, il dolore innocente e quello colpevole; il dolore muto e quello gridato; il dolore spiegabile e quello assurdo; il dolore personale e quello collettivo, il dolore intimo e quello esteriore, il dolore che passa e quello che non se ne va, il dolore sostenibile e quello insopportabile.

Cosa pensare, allora, quando la tristezza scende su di noi e ci avvolge come un’ombra buia che spegne la gioia di vivere? Come reagire quando i problemi – provocati da noi stessi o suscitati dagli altri – sembrano soffocarci? È fondamentale, in queste circostanze, lasciarsi guidare dal Vangelo, perché la sofferenza, se non riscattata e trasformata nella carità, tende a paralizzarci dentro e a generare le “tossine” della rabbia o dello scoraggiamento, che avvelenano l’esistenza nostra e di quelli che ci stanno accanto. Che fare allora?

La risposta, se si fa-Pasqua, è chiara: occorre non lasciarsi catturare dal vortice delle difficoltà, né farsi ingoiare dalle sabbie mobili delle nostre emozioni. Bisogna subito affidarsi al Padre che è nei cieli, confidando nel Suo Amore, e uscire subito da noi stessi e dai nostri tumulti, mettendoci ad amare nell’attimo che ci è dato: così, facendo il bene che il Signore vuole, attiriamo su di noi la benedizione dell’Onnipotente, al Quale nulla è impossibile. Aprendoci a Gesù, il crocifisso-risorto, troveremo la forza di trasformare ogni dolore in Amore; ed è questo passaggio che ci consentirà di “convertire” il problema in risorsa, l’ostacolo in slancio, la povertà in ricchezza, la debolezza in energia divina.

Dove l’amore vince (perché supera la battaglia contro il male e rende ogni croce “luogo” in cui Dio manifesta la Sua potenza), lì si espande anche la comunione, poiché la carità è diffusiva e tende alla reciprocità. Se questa tensione all’unità manca, ciò dimostra che – nonostante la nostra religiosità di facciata – siamo rimasti ancora avvolti nel buio dell’errore e la luce del Vangelo non si è ancora accesa “dentro” e “tra” di noi.

Un cuore abitato dall’Amore è sempre un cuore “di” comunione e “in” comunione: né può essere diversamente, poiché Dio è in sé Famiglia trinitaria. Dunque, la “statura” effettiva (non quella presunta o dichiarata) della nostra carità viene esattamente misurata dal livello della nostra unità. Non ci è lecito, pertanto, farci illusioni o accampare scuse: se, nel nostro cuore e negli ambienti che frequentiamo, la carità languisce e la comunione vacilla o si spegne, è perché insufficiente risulta la nostra fedeltà alla Parola e scadente la nostra partecipazione alla Pasqua.  

Sapendo questo, cogli anche tu il “momento favorevole” che questa Pasqua ti offre e ripeti con gioia il tuo “sì” a Colui che, per primo, ti ha donato il Suo “Sì” in Gesù. Con questa disposizione d’animo, anche tu – come Chiesa – dichiara la convinta e lieta unità di pensiero, di affetto e di azione al nuovo Papa, che ha scelto il nome di Francesco per collegarsi idealmente allo stile e alla missione del Santo di Assisi.

L’esempio e la vicinanza della Vergine di Nazaret, Donna della Parola e Madre della Pasqua, ti custodisca e ti accompagni sempre. Proprio in questo tempo, lo Spirito Santo ha la “penna in mano” e sul libro aperto della tua vita vuole continuare a scrivere la storia sacra: lascia, dunque, che, attraverso la tua corrispondenza, componga in te pagine stupende, degne di essere raccontate. Perciò, apriti all’Amore e spenditi fino in fondo perché l’Amore sia amato: facendo così anche nel tuo cielo si accenderanno i bagliori gioiosi della Risurrezione, che annunciano – come un’alba radiosa – la gloria del mondo nuovo, che viene e che verrà.  

A tutti e a ciascuno auguro di cuore una buona Pasqua!

Giuseppe Petrocchi

Vescovo

 

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