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l'inaugurazione

Un albero per ogni stagione e panchine che avranno le rughe: ecco il Giardino della vita

Coletta ai genitori di Eugenio: "E' il bene che nasce dalla prova più dura". Il ricordo commosso di Bovina

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LATINA – Per fare tutto ci vuole un fiore, diceva una canzone. Tutto. Soprattutto Il giardino della Vita, il primo giardino collettivo realizzato a Latina. Alberi per tutte le stagioni, il cerro al centro, melograni, piantine stagionali e un gingko, che in autunno avrà una chioma biondissima. A segnalare la piccola oasi in Via Tuscolo dove fino a poco fa regnava l’erba incolta, c’è una targa di legno regalata dal Comune di Lavarone come le panchine in larice, in stile Land Art.

“Qui è successo un miracolo”, dice Paola La Cava, presidente del Gigante Buono. L’associazione ha raccolto i fondi per allestire lo spazio che oggi trasforma il vuoto di una grave perdita in un pieno di partecipazione e solidarietà contagiosa. “Il miracolo è aver visto collaborare tanti cittadini, molti dei quali non si erano mai conosciuti prima e che non conoscevano nemmeno Eugenio e la sua famiglia. C’è chi ha fatto donazioni, chi ci ha messo l’ingegno, chi le competenze, chi le braccia, chi il sostegno”. Il pensiero di tanti, e poi le parole commosse di Rita Forlenza, vanno al geologo Giancarlo Bovina, morto solo pochi giorni fa nella Selva del Lamone mentre cercava una nuova via per arrivare ad una cascata, innamorato com’era del paesaggio e dei suoi segreti. Il Giardino della Vita è anche suo. Ed è di tutti i cittadini che credono nel concetto di comunità e di bene comune.

Il ringraziamento alla città arriva quando il nastro verde teso tra i tronchi di due eucalipti è stato da poco tagliato dal sindaco Damiano Coletta con Carla e Bruno Mucci, e con i loro figli. La più piccola, Elena, indossa la maglietta numero 10 di Geggio: “Perché lui era geggioso”, spiega seria a due bambine che gli chiedono il perché di quel soprannome dato al fratello Eugenio, il quindicenne scomparso il 19 dicembre in un soffio, cadendo da un lucernaio che ha ceduto improvvisamente sotto il suo peso. Oggi per lui sarebbero stati 16 anni.

“E’ un segno di vitalità, un grande esempio quello che ci ha dato la famiglia Mucci. L’elaborazione di un dolore così grande è la sfida più difficile che un uomo possa affrontare, farlo in questo modo, andando nella direzione della partecipazione e regalando alla città uno spazio che ha un valore simbolico, credo sia la risposta più bella e a loro va tutto il mio supporto e la mia partecipazione”, dice il primo cittadino. Poco più in là le panchine che stanno diventando anche libreria, ospitano un punto di book crossing.

“Sono tantissimi anni che da Latina questa famiglia porta a Lavarone cinquanta persone ogni anno, e allora noi, insieme con la famiglia Marchese che ha avuto l’idea, il falegname e la scuola Sci, abbiamo realizzato queste panchine, una per ogni componente del nucleo familiare, di misure diverse, in un materiale naturale che con il tempo si degraderà come tutte le cose, si faranno le crepe come le rughe, rappresentando la vita che ancora splende in questo giardino. Grazie per aver accolto il nostro dono”, dice il sindaco del Comune di Lavarone, Isacco Corradi, arrivato con una piccola delegazione dall’Alpe Cimbra.

Le panchine sono solide, rustiche, con il legno diviso su tre livelli  e leggermente incurvate per assecondare un ideale girotondo intorno al cerro: “Due anni fa ho fatto un percorso a Lavarone dove avevo messo a posto le sorgenti di una volta, e ho fatto dei cartelli tagliando un larice a forma di arco.  Con il legno avanzato, e che mi ha dato il Comune, mi è venuta l’idea di fare delle panchine con quella stessa forma tonda, giuste per mettere un albero in mezzo. Dureranno a lungo, un larice vive anche 400 anni, nel primo anno uscirà un po’ di resina, forse dovranno essere coperte, poi dal secondo potranno essere lasciate come sono”, spiega Giulio Corradi, campione di sci ai tempi di Gustavo Thoeni, oggi maestro e falegname.

Alle sei del pomeriggio, le squadre di calcetto sono ormai pronte per scendere in campo sul vicino rettangolo di gioco: gli amici di Eugenio, i compagni di classe, i cugini, un gruppo di richiedenti asilo arrivati dal Centro Africa. Tutti hanno stampato sulle maglie lo stesso numero, il 10, quello preferito da Eugenio.

Nella testa resta il testo di Francesco Guccini letto dalla maestra Paola, l’insegnante di lettere delle elementari:

Quando il mio ultimo giorno verrà dopo il mio ultimo sguardo sul mondo,
non voglio pietra su questo mio corpo, perchè pesante mi sembrerà.
Cercate un albero giovane e forte, quello sarà il posto mio;
voglio tornare anche dopo la morte sotto quel cielo che chiaman di Dio.
…………E così, assieme, vivremo in eterno qua sulla terra, l’albero e io
sempre svettanti, in estate e in inverno contro quel cielo che dicon di Dio

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