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sanità

Casati (Asl): “Vi spiego perché è un bene trasformare i Punti di Primo Intervento”

Mentre i sindaci preparano la marcia di protesta, il direttore generale della Asl lavora al piano più contestato

LATINA – Siamo una provincia da pronto soccorso. Se dovessimo infatti calcolare lo stato di salute dei pontini dal numero di accessi al dipartimento di emergenza della Asl, e aggiungere a questo dato quello dei sette punti di primo intervento sparsi sul territorio (circa 195mila+ circa 50mila l’anno) ne dovremmo dedurre che siamo un popolo di persone a cui capitano accidenti gravi di ogni genere. “E invece non è così. Sono sbagliati i comportamenti. Non solo si corre al pronto soccorso o ai punti di primo intervento per qualunque cosa, ma ci si arriva spesso, perché, essendo malati cronici, non si seguono percorsi di cura adeguati e la malattia si riacutizza costringendo il paziente ad andare in ospedale. Noi vogliamo che molta meno gente vada in ospedale, e che si curi di più e meglio a casa, seguita dal case-manager che è il medico di base e dagli specialisti di riferimento”. E’ quanto sostiene Giorgio Casati, direttore generale della Asl di Latina, che ne fa il principio fondante del suo documento più contestato: quello che trasforma i sette punti di primo intervento presenti sul territorio provinciale di Latina, in strutture “altre”. Quali? Proviamo a spiegarlo con il suo aiuto.

ASCOLTA GIORGIO CASATI DIRETTORE GENERALE DELLA ASL DI LATINA 

I DATI – Nei suoi excel, Casati registra, studia e aggiorna continuamente i dati che riguardano la popolazione pontina. “Solo così è possibile programmare un futuro sostenibile della sanità. Non possiamo permetterci di proseguire in un’offerta che fra pochi anni sarà del tutto inappropriata, che crea inoltre l’abitudine all’autocura e una domanda di servizi non corrispondente alle reali esigenze di salute”, spiega il manager alle prese con uno dei periodi della vita che gli stanno generando più nemici. Nei dati raccolti, c’è scritto che la popolazione pontina sta rapidamente invecchiando, che il 40% della fascia anziana ha almeno una malattia cronica e che il 20% ne ha due o più, dal diabete, allo scompenso cardiaco e Bpco (Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva), alle malattie neurologiche. “Questo significa che ci sono tante persone che hanno bisogno di essere seguite costantemente vicino casa. Se non si capisce questo, non si comprende che è necessario cambiare la nostra sanità. E che non possiamo più aspettare”.

NON CHIUDERE MA TRASFORMARE –  “Detto questo – prosegue Casati – voglio rassicurare tutti che non vogliamo chiudere i punti di primo intervento. Questi devono essere oggetto di trasformazione, mantenendo la parte più importante dell’attuale offerta e integrandola con quella della presa in carico e continuità assistenziale del paziente cronico. Perché – come detto –  gran parte delle prestazioni sanitarie che oggi vediamo trasformarsi in accessi ai Ppi, al pronto soccorso o in ricoveri, è generata da quella fascia di popolazione che a causa della sua malattia cronica ha fenomeni di riacutizzazione che generano il ricorso ad una postazione di emergenza. Se ben seguiti in una struttura sanitaria pensata per queste esigenze, invece, i pazienti si cureranno di più e meglio e avranno bisogno di meno emergenza”.

OPERATIVITA’ 12 o 24 ORE? I prossimi mesi serviranno a capire, sulla base dei dati che si vanno raccogliendo (manca ancora l’informatizzazione a 4 dei 7 Ppi), quale sarà il modello definitivo da adottare.

“Queste strutture, come minimo, funzioneranno nelle 12 ore diurne. La possibilità di estendere questo servizio oltre le 12 ore, o in alcuni periodi dell’anno anche per tutte le 24 ore, sarà oggetto di una valutazione che deriverà dall’analisi dei dati che raccoglieremo entro dicembre. Voglio anche rassicurare che per tutto il 2019 i punti di primo intervento resteranno come sono oggi e che le persone che oggi vi lavorano continueranno a prestare la loro opera nei Ppi”.

Ma la critica maggiore che arriva dal territorio, è rivolta proprio alla durata del servizio, in linea di massima ridotta alle sole ore diurne, perché i comuni interessati resterebbero di notte senza una struttura sanitaria funzionante.

LA RISPOSTA DI CASATI

“Nel piano presentato alla Regione Lazio viene comunque previsto il potenziamento del trasporto con il 118 che è molto più efficiente di quello attuale che, dai Ppi si svolge con i servizi di trasporto intraospedaliero, inadeguati quando si sia in presenza di una vera emergenza. Spesso nei casi di vera emergenza, inoltre, il passaggio al Ppi ritarda l’avvio delle terapie necessarie con conseguenze che possono essere gravi per il paziente. Poi, non dobbiamo mai dimenticare   – conclude Casati – che il Ppi, anche se con un ottimo personale sanitario, ha una capacità operativa molto limitata, perché non ha le dotazioni tecnologiche e gli specialisti presenti invece in un ospedale”.

LA PROTESTA – Su tutto questo conservano forti diffidenze e resistenze i sindaci di Minturno, Cisterna, Sabaudia, Gaeta, Sezze, Cori e Priverno che temono un depotenziamento del servizio al cittadino e vogliono dire la loro. Per questo protesteranno sotto la sede della direzione aziendale della Asl, il 30 novembre.

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