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l'inchiesta della Mobile coordinata dall'Antimafia

“Giù le mani dal Topo Beach”: così Maurizio Zof voleva tenersi il primo chiosco. Poi Coletta denuncio’ le “stranezze”

Tutti gli aggiudicatari dei bandi di gara rinunciavano. Gli atti portati in questura. Oggi gli arresti

LATINA – “Giù le mani dal Topo Beach”. E’ stata una campagna social dai toni apparsi minacciosi, a dare il via all’inchiesta che si è conclusa questa mattina con l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di otto persone accusate a vario titolo di turbata libertà degli incanti ed estorsione aggravati dal metodo mafioso, di numerosi episodi di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, oltre che del trasferimento fraudolento di valori. Al centro dell’inchiesta, le tormentate vicende del primo chiosco al Lido di Latina, un tempo in concessione a Maurizio Zof, conosciuto come Il Topo, da cui il nome dell’attività, Topo Beach.

Era stato l’allora sindaco di Latina Damiano Coletta a sporgere denuncia per tutelare l’Ente e con esso i dipendenti del Comune che si occupavano della procedura pubblica per la riassegnazione dei chioschi, oltre che gli imprenditori interessati al bando. Troppe le “stranezze”: tutti i legittimi aggiudicatari del primo chiosco, infatti, desistevano. Oggi, a distanza di oltre tre anni, quello che emerge è che Coletta ci aveva visto giusto: Zof non voleva mollare in nessun modo l’area a ridosso di Capoportiere e si muoveva utilizzando metodi di intimidazione mafiosi, facendo affidamento sulla sua sinistra fama, per scoraggiare chi era interessato.

L’accusa per “il Topo” si è tradotta poche ore fa nella misura degli arresti domiciliari disposta dal gip del Tribunale di Roma, su richiesta della Dda. La stessa misura è stata notificata in carcere al figlio Alessandro Zof, mentre un terzo familiare, attualmente domiciliato a Milano, è stato sottoposto agli obblighi di firma. Ai domiciliari anche Pasquale Scalise, intestatario di fatto di una società che fa capo a Zof, rintracciato Pescara. In totale l’inchiesta ha portato all’esecuzione di due misure di custodia in carcere, tre arresti domiciliari e tre obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria.  A coordinare le indagini condotte dai poliziotti della Squadra Mobile guidati dal vicequestore Mattia Falso, la pm antimafia Luigia Spinelli che aveva aperto un fascicolo dopo la segnalazione effettuata dal Comune di Latina a maggio del 2021.

Sotto il profilo amministrativo, invece, il 1° chiosco era stato “scorporato” dalla gara e poi assegnato con un Bando Giovani della Regione Lazio.

Il vicequestore Falso

IN QUESTURA CON LE CARTE – Coletta alla vigilia della stagione balneare era andato personalmente in questura a depositare la documentazione nelle mani dell’allora capo della squadra Mobile Giuseppe Pontecorvo. E aveva contemporaneamente portato la questione in Consiglio comunale invitando “sia la maggioranza che la minoranza ad evitare strumentalizzazioni su questa vicenda che  – diceva  – merita approfondimenti riguardo le rinunce pregresse e potenziali da parte degli assegnatari. Auspico  – aggiungeva Coletta – che sia fatta presto chiarezza. Qualora fossero accertate oggettive responsabilità avremo la dimostrazione che in questa città è necessario un sempre maggiore impegno per vedere ripristinata la legalità. Ho sentito il dovere di compiere questo passo e ci tengo a ringraziare tutti i Consiglieri, anche quelli dell’opposizione, per la solidarietà che mi hanno dimostrato ieri nella seduta dell’assise. Vorrei augurarmi che questo mio gesto possa essere anche un eccesso di zelo che non trovi il temuto riscontro”.  A Coletta era piovuta addosso anche l’accusa di soffrire di psicosi.

LE RINUNCE –  Le rinunce apparentemente immotivate alla concessione per il primo chiosco da parte di chi aveva presentato la propria offerta erano arrivate al termine della  procedura di evidenza pubblica avviata nei primi mesi del 2020. Ma precedentemente era accaduto lo stesso nell’aprile del 2017 in relazione all’affidamento per la procedura bandita nel 2016 per il cosiddetto “Lato B” del Lungomare. Gli accertamenti investigativi scaturiti dalla coraggiosa denuncia dell’allora primo cittadino, hanno portato dunque a ipotizzare la “commissione di una serie di atti intimidatori realizzati tra il 2016 ed il 2020, veicolati anche tramite i social network, che hanno inciso negativamente sull’aggiudicazione del chiosco n. 1 del lungomare di Latina e sulla libera attività esercitata dai gestori degli altri esercizi pubblici di ristorazione ivi ubicati”, come si legge in una nota della Questura di Latina.

E non è tutto. L’inchiesta ha fatto emergere una fiorente attività di spaccio e l’utilizzo di metodi intimidatori e violenti impiegati per la riscossione dei crediti quando la droga non veniva pagata, filone per il quale sono state disposte due misure cautelare in carcere, una notificata questa mattina ad un soggetto già detenuto, mentre un secondo destinatario è latitante ed è ricercato.

E POI L’INCENDIO – Le vicende del primo chiosco non sono finite, però. E anzi arrivano fino ai nostri giorni. A maggio del 2023 infatti, alla vigilia del voto amministrativo, la struttura in legno installata sull’area assegnata ad una cooperativa di giovani, è andata completamente distrutta dalle fiamme. Quella notte pioveva. “In merito a questa diversa vicenda, nulla è emerso nel corso delle indagini”, ha detto il vicequestore Falso.

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