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Ogm, agricoltura e università, una proposta per la sanità locale e per fare di Sezze un centro d’eccellenza

Una strada di Sezze

SEZZE – OGM, università e sanità, una miscela d’interventi che potrebbe dare una svolta all’economia e alla sanità locale. Un approccio meno ideologico sulla ricerca scientifica e sugli sviluppi che le nuove tecnologie possono avere sul territorio, permetterebbe forse di dare qualche risposta ai problemi di famiglie e imprese. Notizie più o meno recenti si sono intrecciate in questo periodo, la perdita di posti di lavori nel settore industriale, la crisi dell’agricoltura, il nuovo piano sanitario, la sofferenza dell’università del capoluogo di provincia.

A livello locale un territorio che si dice agricolo, e in cui è presente un distretto chimico farmaceutico e un’università, non può non interrogarsi seriamente sul tema della ricerca scientifica applicata in agricoltura. Premesso che la legge regionale15/2006 prevede la possibilità di effettuare sperimentazioni sugli OGM, non sarebbe forse il caso di promuoverle a livello locale con tutte le attenzioni del caso? Ci vorrebbe un nuovo approccio innovativo per trovare soluzioni alla crisi del sistema.

Un progetto che può mettere tutti d’accordo, è l’utilizzo degli OGM nel campo della BIOPHARMING, cioè la produzione in piante di sostanze da usare per curare le malattie. Semplificando curare o prevenire alcune malattie, anche mortali, mangiando. Se sul territorio c’è il distretto chimico farmaceutico, perché non trovare le sinergie giuste tra agricoltori e ricerca pubblico/privata? Ci sono molte terre incolte che potrebbero essere utilizzate a questo scopo. Gli agricoltori che volessero intraprendere strade diverse sono liberissimi di farlo. La libertà di ricerca, la libertà economica sono i capisaldi su cui si deve basare una moderna società, e il biopharming non va in contrasto con le colture tradizionali. Sezze poi potrebbe diventare il fulcro di questa politica in quanto si potrebbero trovare sinergie con l’ospedale coinvolgendo direttamente nella riconversione anche i privati. Una struttura enorme e sotto utilizzata come il San Carlo potrebbe essere utilizzata come punto di sperimentazione della biopharming, interessando l’università, gli enti pubblici, gli agricoltori e le aziende farmaceutiche.

Anche l’università dovrebbe essere coinvolta prevedendo corsi di laurea attinenti alle potenzialità del territorio. Il distretto chimico farmaceutico ha bisogno di tecnici specializzati nelle materie scientifiche, e nel territorio invece questi corsi non ci sono. Investire su di essi potrebbe dare una speranza di lavoro per i giovani studenti.

A questo punto le terre incolte potrebbero essere coltivate nel settore del biopharming sotto l’input delle aziende chimico farmaceutiche e dell’università. La sperimentazione e il monitoraggio dei pazienti poi verrà presso l’ospedale San Carlo. Da non sottovalutare la possibilità di attingere ad una grossa mola di fondi europei sulla ricerca scientifica. Non dobbiamo dimenticare che già l’Unione Europea ha intrapreso questa strada. L’UE infatti ha finanziato il progetto Pharma Planta, un consorzio tra università ed enti di ricerca, avente per scopo principale lo sviluppo di strategie per la produzione di proteine farmaceutiche nelle piante.

Cosa manca al nostro territorio per essere protagonista di questi investimenti? Un ospedale da riconvertire, la presenza di un distretto chimico farmaceutico, un’università, un nuovo piano di riassetto sanitario, centinaia di aziende agricole e centinai di ettari incolti. Un mix di attori da mettere intorno ad un tavolo per attrarre investimenti nuovi e freschi che escono dalle classiche dinamiche amministrative ormai logore. Investimenti che potrebbero essere utilizzati anche per dare servizi ospedalieri ai cittadini, mantenendo, riconvertendo o creando nuovi servizi sanitari, e nuovi posti di lavoro.

Riceviamo e pubblichiamo

dal Presidente di ASS.I. Giovanni Tempesta

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