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18 dicembre

Latina 90, il discorso del commissario Valente

IL DISCORSO

LATINA – In assenza di un sindaco eletto, è stato il commissario straordinario al Comune di Latina, prefetto Carmine Valente, a tenere il discorso ufficiale in occasione dell’anniversario dell’inaugurazione della città. Al termine del corteo con le autorità, preceduto dalla Banda Città di Latina che ha accompagnato i momenti solenni della cerimonia per il 90°, il prefetto Valente, forte dell’esperienza maturata come capo ufficio stampa di 10 ministri dell’Interno della Repubblica, dopo aver citato gli ultimi tre sindaci di Latina, e gli altrettanti commissari che si sono succeduti a ognuno, ha svolto un’analisi a tutto tondo, descrivendo una Latina che  fino ad ora non si è dimostrata all’altezza dei suoi sogni e dei suoi progetti. Di seguito il discorso integrale del prefetto Valente.

IL DISCORSO  – Qui anche in versione audio

IL TESTO – Questo omaggio al monumento del bonificatore è più di un semplice rito. È una ricorrenza, un momento di riflessione. Uno sguardo al passato ma con gli occhi ben puntati sul futuro.
Ricordiamo oggi chi ha fatto grande la città. La nostra storia esempio di dedizione al lavoro sacrificio e sofferenza ma anche di straordinaria integrazione tra culture ed etnie.
Questa città vive grazie all’opera e allo spirito di tanti pionieri, centinaia migliaia di persone che hanno lavorato per anni fino a trasformare le paludi in un agro pontino fertile e ricco.
Latina fu pensata e disegnata nello spazio e realizzata a misura d’uomo. Miracolo di quell’umanesimo profondo e intenso che si è esaltato nell’impegno, nel lavoro e nella realizzazione dell’opera
di bonifica assurta ad epopea. Al monumento del bonificatore tutta la città si stringe in un abbraccio ideale per tributare gratitudine riconoscenza onore ai pionieri che a prezzo di indicibili sacrifici spesso pagati con la morte, hanno saputo sconfiggere l’ostilità della natura e rendere salubre e prospera questa terra.
La storia della città fatta non solo di lavoro e sacrificio ma anche di speranza e di successo. I latinensi son forgiati per superare le situazioni più difficili: strappare questa terra alle paludi e
impegnarsi a far convivere e coesistere culture diverse per un comune senso di identità e di cittadinanza. Il progetto di sviluppo e il patrimonio di valori sono ancora attuali
e si perpetuano. E vanno ancor di più alimentati e praticati per essere protagonisti del proprio futuro. Ma questi valori non sarebbero niente se non coniugati con il tema più generale del
rispetto delle regole.

E in ultimo Pennacchi: “fu un esodo. E noi arrivammo a Piscinara che era già prosciugata. Una tabula rasa. Un tappeto di biliardo. Neanche un albero all’orizzonte di tutti quei boschi e foreste che secondo zio Pericle c’erano prima pullulanti di bestie e briganti assassini scappati dai paesi loro, sopra le montagne. Neanche più una goccia d’acqua, un filo d’erba e noi arrivammo in 30000 a
popolare come birilli inermi questo tappeto di biliardo, un vuoto senza fine, tutto asciutto e terra vergine. Sembrava il deserto”.

Queste frasi molto belle che vi ho letto sono state estrapolate dai discorsi tenuti in questo giorno dai miei predecessori negli ultimi 20 anni: I sindaci Zaccheo, Di Giorgi e Coletta che ringrazio per
la presenza e i commissari Nardone e Barbato. Sull’epopea e la grandiosità dell’opera dei bonificatori non aggiungo altro.
Intanto, auguri di buon novantesimo compleanno carissima città di Littoria-Latina. Faccio mia l’osservazione di un amico ascoltata durante una piacevole serata di un convegno. Si sostenne che non ha senso stabilire un prima (Littoria) e un dopo (Latina) come se ci riferissimo a due città diverse arrivando quasi a rinnegare la prima per un senso di pudore peloso, ma la verità è che non ci
sarebbe Latina senza Littoria e viceversa perché sono la stessa cosa, un unicum storico. Credo che questa verità vada affermata e sostenuta anche nei confronti di chi in nome di un significato
politico negativo ne sostiene l’oblio. È proprio l’origine e il nome di questa città che invece ne connotano l’essenza. La città nasce novant’anni fa ed è sotto gli occhi di tutti quello che, pezzetto
dopo pezzetto, è diventata. Non dimentichiamolo.
Porgo infine i miei più calorosi saluti alle Cittadine e ai Cittadini di questa città che sto imparando velocemente ad apprezzare. Mi compiaccio della presenza speciale del Vescovo Crociata vera e apprezzata guida spirituale che con le sue omelie traccia e illumina il cammino. Grazie per la sua presenza. Saluto affettuosamente il Prefetto Falco che ringrazio per avermi dato fiducia e affidarmi questo delicato e difficile incarico, e poi un benvenuto al Questore che da poco ha assunto la nuova responsabilità, al comandante dei carabinieri e della guardia di finanza e a tutte le autorità civili e militari presenti. Un pensiero particolare inoltre va alla magistratura tutta che tutela e vigila sul rispetto delle leggi, ai parlamentari e ai rappresentanti politici di questo territorio. E ancora saluto gli esponenti del commercio e delle imprese, gli ordini religiosi, i sindacati i Vigili del Fuoco e la Polizia Urbana, grazie per l’opera meritoria che prestate. Un benvenuto infine ai Sindaci intervenuti che con la loro presenza danno un segno tangibile della vicinanza delle comunità che rappresentano a questo Comune di fondazione.
Spero di non aver dimenticato nessuno.
Ebbene!
Non nascondo che provo una punta di lieve disagio nello stare qui, proprio qui oggi e a dover festeggiare il genetliaco di questa bella e particolare città. Nei giorni scorsi non nascondo mi balenava in testa questo pensiero che in effetti era una domanda: cosa c’entro io straniero calato dall’alto e non in grado ancora di percepire fino in fondo la vera identità e lo spirito che anima ciascuno di voi con questa manifestazione? Chiunque altro potrebbe esprimere meglio di me i pensieri che pure mi animano e raccontare storie e fare analisi più puntuali per l’occasione e arricchirle di particolari molto più interessanti e attinenti rispetto a quello che potrò dire io.
Non parlerò pertanto della storia e della cronaca degli ultimi 90 anni ma di impressioni che non sono ancora convinzioni e quindi  destinate a mutare, avute in questi primi mesi del mio mandato di Commissario straordinario. Comincio da due considerazioni. La prima di carattere generale. Partendo da piazza del Popolo e passeggiando in quello che l’architetto Oriolo Frezzotti aveva pensato come il cerchio, si incontra tutto quello che dalla sua fondazione, il 30 giugno 1932, ad oggi è successo in questa città: edifici di fondazione accanto a grattacieli degli anni ‘60 e ‘70, il campus Universitario che negli anni della guerra era stato realizzato come un campo profughi, il teatro D’Annunzio costruito negli anni ’80 e aperto nel ’90, le rotonde degli anni ’90, la difficile costruzione di una identità condivisa e di aree aperte degli anni 2000.
Osservando questo territorio mi è saltato subito agli occhi il modo in cui è distribuita la città senz’altro molto particolare. I pionieri fin dall’origine, m’immagino, si siano distribuiti su un territorio
vastissimo anche per necessità di avere unità agrarie sufficienti a sfamare le loro famiglie e abbiano costituito comunità diverse legate in modo approssimativo al nucleo centrale storico, a cui
avranno sì riconosciuto la centralità ma per distanza e per comodità hanno poi dato vita a centri separati con proprie scuole, proprie chiese, proprie luoghi di aggregazione. Proprio grazie al lavoro dei vertici dell’Opera Nazionale Combattenti entra a far parte del lessico delle città nuove il termine “Borghi”. Pare che “il Borgo non sarebbe dovuto diventare una città vera e propria ma costituire solo il centro fisico di una civitas di campagna, centro che oltre a fornire servizi funzionasse da fulcro, snodo e condensatore sociale della communitas sparsa per tutto il territorio”. (Pennacchi).
Ovviamente i borghi di questa città sono oltre che una connotazione unica dello sviluppo anche una ricchezza diversificata ma non può sottacersi che questi hanno avuto o subito uno sviluppo separato a ciò contribuendo certamente la miopia di alcune scelte politiche che non hanno favorito una perfetta integrazione, come ad esempio una viabilità precaria che
li ha tenuti ancora più distanti rispetto alla distanza fisica dal centro, laddove sarebbe stato necessario avvicinarli, cooptarli ricomprenderli il più possibile e farli diventare quartieri di una
stessa grande città. Siamo difronte invece a tante piccole città separate dal nucleo centrale propriamente inteso.
Cerco di spiegarmi meglio. Emanuel Mounier diceva “organizzare lentamente le prossimità in comunità” Cioè una vera comunità si forma quando alla base vi sono relazioni e solo lentamente queste relazioni di dare e avere portano alla creazione di vere e proprie comunità. Usa l’avverbio lentamente per dire che una comunità è difficile da creare perché occorre che le relazioni tra gli abitanti siano continuative e costanti. Mi sembra ma posso sbagliarmi che le relazione nei singoli Borghi hanno senz’altro creato comunità vere ma c’è da chiedersi se la stessa cosa sia avvenuta attraverso le relazioni tra i Borghi e il centro cittadino e se quel lentamente a cui fa riferimento il filosofo Mounier si sia compiuto.
Seconda considerazione Negli ultimi 20 anni in questa città si sono succeduti tre Sindaci e tre Commissari compreso me. Ciò a dire che ogni 5-7 anni la compagine politica ha dovuto cedere il passo all’arrivo di un Commissario. E prima degli anni 2000 è capitato altre volte con una certa regolarità. Perché? Appare come un sintomo di forte disagio che la comunità vive e che evidentemente non è stato ancora risolto. Certamente andrebbe fatta un analisi più approfondita per capire se questa patologia, chiamiamola così, sia occasionale e le cui motivazioni siano da ricercarsi in molteplici ragioni ogni volta che accada oppure è un vero e proprio modo di essere dei rappresentanti della comunità che ad un certo punto esprimono una forma di insoddisfazione e di conflittualità che sfocia nel desiderio di cambiamento. Questo non vuole essere un giudizio di valore sia chiaro ma una semplice osservazione, altri meglio di me sapranno dire. Io non ho una risposta in proposito. Ovviamente i rappresentanti che vengono votati sono espressione di una comunità che in loro si riconosce, come è giusto che sia e ritengo che i conflitti e le insoddisfazioni che essi hanno rappresentato sono insiti nella stessa comunità che li ha generati.
E’ come dire che l’idem sentire si estrinseca ad un certo punto in una rappresentazione conflittuale. Tuttavia Albert Camus sosteneva che “la politica deve, per quanto possibile, essere riportata nei suoi giusti termini di contorno. Il suo fine non deve essere quello di fornirci un vangelo o un catechismo, né morale né politico (…) il ruolo della politica è di tenerci in ordine la casa,
non di occuparsi delle questioni intime”. E allora io dico non permettiamo che la politica si occupi delle questioni intime ma pretendiamo che questa tenga in ordine la casa. E questo ahimè! non è sempre successo anche per superficialità o impudenza e qualche volta addirittura per dolo dell’apparato burocratico. Ma la nomenclatura amministrativa e non mi riferisco soltanto a quella comunale va seguita, controllata, indirizzata e anche sanzionata ove occorra.
Ho potuto osservare che alla grossa spinta progettuale davvero di grande livello non ha corrisposto sempre la dovuta attenzione nella fase della realizzazione delle idee.
Bisogna pretendere che la visione della città del futuro venga non solo definita con accortezza, intelligenza e condivisione ma che questa non venga modificata ad ogni soffio di vento a seconda
delle convenienze del momento. Si deve poter pretendere non solo che i particolarismi realizzati con scelte occasionali vengano contrastati e aboliti, ma soprattutto che le scelte strategiche
vengano perseguite attraverso un rigido controllo sociale e che le attività e i progetti vengano anche proseguiti con la massima attenzione anche da chi viene dopo e anche se la pensa
diversamente. Con i soldi pubblici non è dato scherzare né essere superficiali e disattenti.
Dobbiamo pensare a una dimensione urbana in cui ogni cittadino ha i servizi di prima necessità a una distanza congrua. Servizi che comprendono quelli commerciali, culturali e scolastici ma anche la Sanità stessa, se consideriamo ambulatori e centri diagnostici. Il lavoro che si deve fare sul decentramento è strategico e fondamentale. L’urbanista Stefano Boeri sostiene la necessità di
servizi accessibili e raggiungibili entro un raggio geografico di 500 metri a piedi o in bicicletta. Credo, sostiene sempre Boeri sia importante tornare a vivere gli spazi seguendo la logica del
quartiere autosufficiente o del “borgo urbano”. Cari cittadini di Latina mi avvio alla conclusione ma consentitemi prima di sottolineare che queste mie osservazioni oneste e dettate
dal cuore sono espressione di rispetto verso questo territorio che vogliono guardare al futuro e non certamente al passato con la consapevolezza che le innumerevoli energie positive che questa
città esprime e contiene verranno indirizzate sempre meglio verso il benessere e il progresso.
Non dimentico e d’altra parte è sotto gli occhi di tutti quello che in questi primi 90 anni è stato realizzato e come etnie e popoli diversi si siano amalgamati sotto la spinta dei sacrifici fatti dando
luogo a questa comunità ancora acerba. Ne sono esempi le numerose associazione di volontariato che operano con sagacia e impegno, i circoli cittadini, i centri sociali, le comunità religiose,
le associazioni culturali che sempre di più si costituiscono e si diffondono sul territorio e tutti quelli che si impegnano ogni giorno nel terzo settore per non lasciar nessuno indietro
Insomma, care Cittadine e Cittadini vi lascio e concludo con queste osservazioni spero costruttive e con la speranza che sempre di più benessere e progresso possano arridere a questa terra
feconda facendole conquistare il posto che merita tra le grandi città e le condizioni, vi assicuro, ci sono tutte vista anche la giovane età di Latina. C’è ancora tutto il tempo.
Buon compleanno Latina.

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