
Voglio soffermarmi su quanto dichiarato da Stampa Romana che vi leggo. Ascoltate bene.
“La chiusura del quotidiano travolge i giornalisti che ne hanno consentito pubblicazione e diffusione, tra rapporti di lavoro dipendente e collaborazioni. Non ci sarà purtroppo alcuna possibilità di sostenerli con gli ammortizzatori sociali. Ne avrebbero avuto diritto se l’impresa editoriale fosse stata condotta all’interno delle regole contrattuali e contributive. Non sempre dunque paga per loro il tutto e subito. Non sempre paga la scarsa o nulla considerazione delle leggi. Non è un diritto lavorare a tutti i costi. Farlo al nero non solo compromette la propria reputazione professionale, non solo danneggia i colleghi che lavorano rispettando le regole ma li penalizza concretamente oggi che hanno trovato le porte della redazione chiuse a doppia mandata”.
Forse non ho capito bene: non solo il giornale ha chiuso con un preavviso… anzi no, senza preavviso, dal giorno alla notte, non solo chi viveva solo di quella collaborazione ora deve mettersi a cercare altro e come se non bastasse la colpa è dei giornalisti?
Perché chi dovrebbe tutelare i giornalisti, la nostra categoria (visto che facciamo parte di un ordine) non si occupa della nostra situazione prima che sia troppo tardi?
Forse non lo sapevano prima che non c’erano contratti e che molti venivano pagati in nero?
E poi… forse è il caso di smetterla di essere ipocriti… Sono anni che collaboro e sono davvero poche le testate che non ho conosciuto anche indirettamente tramite colleghi giornalisti… e quante non pagano o quante sono arrivate a pagare 50 centesimi ad articolo?
E poi quante testate – non potete immaginare quante – che portano avanti battaglie di legalità, contro il caporalato, lo sfruttamento ingiusto e poi non rispettano prima di tutto i loro collaboratori…
Non fatevi abbacinare dal titolo altisonante di “giornalista”… è dura… quanto è dura. E quanto è dura poi leggere che neanche chi dovrebbe ti difende.
Ma sapete quale è la cosa divertente? Che capita che proprio i giornali che stipulano un contratto, poi non ti pagano, falliscono, cambiano nome et voilà in fumo mesi di lavoro…
Ma vi lascio con una chicca… l’Italia è un paese in cui si fanno pochi figli. Pensate che un giorno mi è capitato di firmare un contratto giornalistico (più o meno) in cui addirittura si diceva: in caso di gravidanza del contraente l’azienda, per tutelare il bambino, valuterà l’ipotesi di sospendere il contratto di lavoro…
