SABAUDIA – Si rianima la polemica sul piano di contenimento dei daini nel Parco Nazionale del Circeo. Ad accendere la miccia stavolta è la delibera pubblicata sull’albo pretorio dell’Ente con i nomi del 28 operatori ammessi al Corso di formazione operatore abilitato alle operazioni connesse al piano, firmato dalla direttrice facente funzioni del Parco, Ester Del Bove che è anche la responsabile dell’Ufficio Biodiversità che si è occupato della redazione dello stesso.
L’avviso pubblico si è chiuso da oltre un mese ed è il giornalista ed ex sindaco di Ponza Piero Vigorelli, già querelato dall’Ente per le sue parole considerate diffamanti in merito al programma approvato dal Ministero per l’Ambiente e dall’Ispra, a rilanciare la polemica sul nuovo passaggio dell’iter di attuazione del piano di contenimento nato con l’intento di “salvaguardare la biodiversità forestale messa in serio pericolo dalla presenza del daino”, per tutelare l’ultimo tratto di foresta di pianura esistente nel centro Italia.
“Pubblichiamo i nomi di questi 28 aspiranti fucilieri e chiediamo loro di ritirare la candidatura, di mettere una mano sul cuore e non sul fucile – scrive in un post su Fb Vigorelli – Possono avere altre occasioni per dimostrare la loro maestria, magari con una maggiore sportività di quella di sparare in un’area protetta a capi vivi che costituiscono un facile bersaglio”.
Come previsto dal bando, il personale formato servirà effettivamente da supporto oltre che per “le operazioni propedeutiche allo screening sanitario della popolazione”, a “quelle di rimozione attiva della popolazione di daino all’interno dell’Area protetta, ai sensi della vigente normativa, da effettuarsi sia tramite cattura in vivo degli animali mediante corral fissi o chiusini mobili, che con la tecnica dell’abbattimento diretto tramite arma da fuoco a canna rigata“, si legge nell’avviso pubblico.
Le critiche iniziali, molto aspre da parte degli ambientalisti erano servite a spingere il Parco del Circeo a promuovere, con delibera, anche un piano di adozioni che prevedeva, per i privati e le aziende faunistico-venatorie interessate, la sterilizzazione degli esemplari prima del trasferimento per evitare di “esportare” il problema. Ma di tutto l’afflato iniziale è rimasto quasi nulla: poche adozioni, data l’oggettiva la difficoltà di gestire animali selvatici che hanno bisogno di molto spazio per vivere, e l’esigenza immutata di liberare la foresta dal peso non più sostenibile degli esemplari che continuano a riprodursi.
