LATINA – Si sono incontrate in ospedale al Goretti: Nadezda Zhdanovskaya, più semplicemente Nadia, russa, che nella foto indossa il camice bianco. Maria invece (nome di fantasia) è Ucraina e porta al polso l’orologio del marito. La prima, siberiana di nascita, ha 29 anni, è specializzanda alla Sapienza ed è arrivata nella Uoc di Ematologia dell’ospedale dopo aver studiato a Mosca. Maria invece, ha lasciato un pezzo della sua vita a migliaia di chilometri da Latina; ha il marito al fronte ed è fuggita in Italia con i suoi due figli di 4 e 12 anni, accolta da una parente che ora le fa da interprete.
Ieri erano una di fronte all’altra con le lacrime agli occhi, una russa e una ucraina, sembravano le due donne che hanno portato la croce all’ultima stazione della Via Crucis per volere di Papa Francesco. Insieme hanno pianto per il comune dolore della guerra e per tante altre paure: la giovane dottoressa, perché sente lo stigma della sua nazionalità, del Paese belligerante di cui disapprova le scelte; mentre la giovane profuga pensa alle bombe ed è tormentata per i suoi bambini, teme che se la sua patologia si aggraverà possano ritrovarsi improvvisamente senza papà e senza mamma, in una terra che non è nemmeno la loro.
Si sono fatte coraggio reciprocamente con Nadia che ha preso il telefono della ragazza ucraina, ha inserito la tastiera in cirillico e ha cominciato a scrivere nella sua lingua per darle informazioni e rassicurazioni dirette, senza il filtro della traduttrice. Si sono scambiate i numeri di telefono e resteranno in contatto per le cure, ora che la giovane mamma è stata presa in carico dalla Uoc diretta dal professor Cimino.
Fuori dalla stanza, i bambini, un maschio e una femmina, seduti silenziosamente ad attendere con educata pazienza la visita della loro mamma, hanno ricevuto in regalo le uova di cioccolato dell’Ail da una dottoressa. Gioia pura è sprizzata dalla faccia del più piccolo. Basta poco per far felice un bambino.
Sarà dura per tutti, lo sarà di certo: per la guerra e per la malattia, per dover ricominciare, per dover sopportare, Maria e i bambini ma anche Nadezda, la lontananza da casa che ora è senza un termine. Ma una cosa è certa: “Qui ci sentiamo accolti – dice la giovane ucraina – siete come una famiglia”.
La dottoressa che ha scattato la foto invece non vuole essere citata: “Dite semplicemente che queste sono le cose che ci fanno andare avanti anche quando sembra che vada tutto storto”.
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