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cronaca

Agromafie, in provincia di Latina tasso usuraio del 120%: giro d’affari da 13 milioni

Il caporalato è una delle piaghe più importanti da sconfiggere

LATINA – E’ stato presentato ieri il rapporto sulle Agromafie nel Lazio, realizzato dalla Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare della Colidretti, in collaborazione con la Regione Lazio e il Ministero della Transizione Ecologica. Un documento che analizza il fenomeno dell’illegalità e criminalità nelle filiere agroalimentari e nell’ambiente delle Province del Lazio.

Nel dibattito è intervenuto il magistrato Gian Carlo Caselli, Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Osservatorio Agromafie. il Vice Presidente della Regione Lazio, Daniele Leodori. Tra i relatori l’Avvocato generale presso la Corte di Cassazione e coordinatore del gruppo di ricerca, Pasquale Fimiani, Riccardo Fargione del Centro Studi di Coldiretti “Divulga”, il Maggiore Aldo Papotto, Capo Divisione Gestione Risorse Finanziarie, Pianificazione Spesa e Controllo del Commissario di Governo Bonifica siti contaminati e discariche abusive e il giornalista, Stefano Liberti. A chiudere i lavori il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri.

Le crisi economica causata dal Covid -19 ha consentito alle mafie di radicarsi ancor più soprattutto nel settore della ristorazione, principalmente approfittandosi delle attività in difficolta. La filiera agromafiosa, che condiziona il sistema di produzione agricolo e con esso l’intero network imprenditoriale collegato, coinvolge da tempo anche la ristorazione, come da anni il Rapporto Agromafie di Eurispes, Fondazione Osservatorio agromafie e Coldiretti rileva e denuncia.

Nel Lazio si stima un tasso usuraio medio del 120% annuo anche nel comparto agricolo con un giro d‘affari complessivo pari a 40 milioni di euro. Un dato che è molto più alto nella Provincia romana e di Latina, rispettivamente di 15 milioni e mezzo e 13 milioni, rispetto alle altre Province, dove il giro d’affari è di 8 milioni a Viterbo, 2 a Frosinone e 1 milione a Rieti.

Nella nostra regione sono circa 50 mila le imprese presenti, che forniscono lavoro a 70 mila addetti, tra occupati nelle coltivazioni agricole e negli allevamenti, nei servizi e nelle industrie alimentari, sia in termini di qualità e tipicità dei prodotti.

La Camorra è quella, tra le mafie tradizionali, secondo gli ultimi dati disponibili, ad occupare una posizione di spicco su tutto il territorio regionale, con 85 aziende confiscate, pari al 26,4% del totale. Il suo principale settore di infiltrazione – si legge nel rapporto – è quello della ristorazione, che rappresenta tra bar e ristoranti il 58,5% del business criminale.

Le aree di infiltrazione della ‘Ndrangheta, che rispetto alla Camorra ha un ventaglio di interessi più variegato e meno legato al comparto della ristorazione, sono infatti principalmente nei settori connessi alle costruzioni, al comparto immobiliare, al commercio sia all’ingrosso che al dettaglio.

CAPORALATO – Un focus importante è stato svolto anche sul caporalato e sullo sfruttamento del lavoro con un’alta concentrazione di casi soprattutto nell’Agro pontino e romano. Gli occupati nel settore agricolo nel Lazio – si legge nel rapporto – annualmente registrati negli archivi dell’Inps ammontano nel 2019 (ultimo dato disponibile) a 45.236 unità, come rilevato dai dati elaborati dal Crea-Pb (Ministero delle Politiche Agricole). Il sistema occupazionale che ne deriva mostra la prevalenza del lavoro svolto a tempo determinato su quello a tempo indeterminato, appannaggio, in maniera preponderante, delle maestranze di origine immigrata (Ue e non Ue), superando in questo caso, seppure leggermente, il 90% (24.086 unità) degli impiegati. La restante quota svolge attività a tempo indeterminato (1.262 unità sul totale complessivo di 25.348).

La distribuzione degli occupati a livello provinciale, a prescindere dalla nazionalità, vede 20.824 occupati (il 46% dei 45.236 occupati in Regione) nella Provincia di Latina, 11.627 (25,7%) nella Città metropolitana di Roma, 9.202 (20,3%) nella Provincia di Viterbo, 2.006 (4,4%) in quella di Frosinone e 1.577 (3,5%) a Rieti. Per quanto riguarda il genere, il 72,5% degli occupati sono uomini e il restante 27,5% donne. I lavoratori agricoli sul territorio laziale sono soprattutto romeni, marocchini e albanesi, ma è anche significativa, soprattutto in Provincia di Latina, la presenza di indiani (soprattutto quelli provenienti dal Punjab), nonché tunisini e bangladesi. Per i braccianti sfruttati e vittime di caporalato si va da lunghi orari di lavoro giornaliero alla bassa retribuzione, che è in genere minore di circa un terzo/la metà, dunque intorno ai 500/700 euro invece di circa 1.100/1.200, senza nessuna considerazione per le competenze professionali.

“La crisi sociale ed economica determinata dalla Pandemia – spiega il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri – ha avuto un impatto devastante sul comparto agroalimentare. Le inevitabili chiusure per lunghi periodi imposte dal lockdown hanno pesato su ristoranti e bar, mentre l‘inflazione ha fatto lievitare i prezzi del cibo e il costo delle materie prime è notevolmente aumentato con una deflazione nei campi.  Aspetti che hanno contribuito alla crescita di fenomeni come l’usura e hanno creato terreno fertile per le organizzazioni criminali che hanno sfruttato le difficoltà economiche di chi lavora in questo settore. E’ fondamentale continuare a svolgere un attento monitoraggio così come la Fondazione Osservazione Agromafie sta facendo, mantenere alta l’attenzione sui fenomeni mafiosi e svolgere azioni investigative e giudiziarie di contrasto”.  “La Fondazione Osservatorio agromafie – spiega il presidente del Comitato scientifico, il magistrato Gian Carlo Caselli – ha cercato negli ultimi anni di svolgere un‘approfondita analisi per mettere in luce i progressi, ma anche quelli che sono gli elementi di criticità che ancora permangono lungo la filiera agroalimentare”.

 

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