LATINA – La storia giudiziaria è lunga 10 anni e domani conoscerà la parola fine o un ulteriore prolungamento. Il Tribunale del Lavoro di Latina dovrà infatti esprimersi sull’ennesimo capitolo del lungo procedimento che riguarda il neurochirurgo della Sapienza Paolo Missori dopo che la Asl ha chiesto la revocazione della sentenza con cui il medico è stato reintegrato nel suo posto di lavoro. “Ribadisco la mia piena e totale fiducia nelle istituzioni. Sono certo che, come già avvenuto, la magistratura riconoscerà la totale infondatezza delle accuse a mio carico: ho dalla mia parte la verità”, commenta il professionista che ha anche chiesto un milione di euro di danni alla Asl.
La vicenda è la seguente: il 10 gennaio 2009, Missori, allora medico universitario di Neurochirurgia dell’Ospedale Santa Maria Goretti di Latina, viene chiamato dal medico di guardia – sebbene non fosse né di turno, né reperibile – per valutare una paziente colpita da aneurisma cerebrale. Dopo 9 giorni, la donna morì e Missori venne accusato di essere mancato al suo dovere. “Dal nulla – spiega in una nota – apparve un elenco di guardie e reperibilità, senza intestazione, che, a differenza di quello ufficiale in mano al dottore, riportava il mio nome fra quello dei medici reperibili quel giorno”. Di qui i processi davanti al giudice del lavoro e davanti a quello penale: Missori viene reintegrato il 14 febbraio 2012, cinque anni prima di essere assolto in via definitiva, perché “il fatto non sussiste” anche dal Tribunale Penale di Latina e dopo aver rinunciato alla prescrizione. La sentenza arriva il 4 luglio 2017.
Contro la sentenza del giudice del Lavoro, la ASL di Latina non fa appello, ma poi un anno dopo, nel 2013, ci ripensa e chiede la revocazione della sentenza che reintegra Missori al Goretti stabilendo anche un risarcimento. “Ed è proprio su questa revocazione che si dovrà esprimere il Tribunale del Lavoro di Latina il prossimo 17 gennaio, dopo ben 5 rinvii”, spiega in una nota il professionista aggiungendo: “Avrei potuto richiedere la prescrizione dell’accusa a mio carico ma ciò non poteva bastarmi: volevo arrivare in fondo e ottenere l’assoluzione, anche per rispetto alla defunta. Ero certo che mi avrebbero riconosciuto innocente, e lo sono tutt’ora”.
