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sanità

Latina, intervento innovativo al Goretti: un “reducer” per cambiare la vita dei pazienti affetti da angina

La procedura eseguita dal responsabile della Sala di Emodinamica Antonino Stipo

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LATINA – E’ stato eseguito per la prima volta al Goretti di Latina un innovativo intervento al cuore che ridà speranza ai pazienti affetti da angina, quando ogni strada è stata già tentata. Dove più angioplastiche non ha avuto effetti duraturi, dove stent multipli non bastano, e la terapia farmacologica risulta insufficiente, quando il paziente è ridotto praticamente all’immobilismo, oggi c’è una possibilità per tornare ad avere una qualità di vita accettabile.
L’ha offerta ai colleghi, un medico israeliano, Shmuel Banai (ispirandosi alla procedura ideata nel 1955 a Cleveland da un cardiologo americano), ma in Italia il “reducer” è stato impiantato solo in trenta pazienti: uno a Latina, appunto, nella sala di Emodinamica. Gli altri al San Raffaele di Milano e uno a Roma, al San Giovanni.

IL MEDICO – Dieci giorni fa, l’operazione sul seno coronarico è stata realizzata dall’equipe del dottor Antonino Stipo al S. Maria Goretti. Il responsabile dell’emodinamica dell’ospedale, 54 anni, studi liceali al Majorana di Latina, 18 anni a Roma dopo l’università,  di mestiere cardiologo, “pulisce” le arterie, salvando vite (è specializzato in angioplastiche anche con rotorablator e laser). Settecento sono i casi trattati ogni anno al Goretti, di questi 320 sono infarti acuti, numeri che fanno di Latina la prima emodinamica del Lazio (dati 2015) e la sesta in Italia.

LA PROCEDURA – A fare da supervisor in sala operatoria c’era Francesco Giannini, cardiologo interventista dell’Ospedale “S. Raffaele” di Milano. “Con il collega è in atto una collaborazione su questa innovativa procedura”, spiega Stipo che l’ha eseguita su un “affezionatissimo” paziente maschio, poi ricoverato nella Cardiologia Universitaria della Sapienza diretta dal professor Nicola Alessandri all’ Icot. Dimesso dopo due giorni, ora è monitorato. Gli effetti benefici prodotti dal particolare tipo di stent introdotto nel seno coronarico – giura l’uomo – sono già apprezzabili, ma in realtà ci vorrà un mese perché la clessidra in acciaio, dilatata all’interno della grossa vena del cuore, svolga appieno la sua funzione (nelle due immagini l’angiografia del seno coronarico e il successivo gonfiaggio del pallone che modella lo stent a “clessidra asimmetrica”. Il device è indicato dalla freccia).
“La tecnica inverte in sostanza il ragionamento che si fa con l’ angioplastica coronarica – spiega Stipo – e si usa quando si è in presenza di angina refrattaria. In questo caso, il paziente, già sottoposto ad intervento di bypass aortocoronarico e impianto di multipli stent coronarici, nonostante il trattamento con più farmaci antiischemici e alle massime dosi, era ancora sintomatico e avvertiva il classico dolore al petto anche a basso carico di lavoro”.

COME FUNZIONA – In pratica invece di lavorare nelle arterie e dilatarle, si opera in una vena, il seno coronarico, appunto, che viene leggermente ridotta con uno stent di acciaio medicale, rigonfiato solo parzialmente a formare una clessidra. “Quando i tessuti lo ricoprono, nell’arco di 4 settimane circa – spiega ancora Stipo –  si registra un lieve aumento della pressione venosa cardiaca, o meglio una modulazione del flusso in uscita dal cuore che consente una ridistribuzione del sangue ossigenato, dai territori ben irrorati, a quelli ischemici. Questo rimaneggiamento dei flussi di sangue nel miocardio riduce gli episodi anginosi con miglioramento della qualità di vita”. Superfluo aggiungere che riduce la mortalità di cardiopatici ad altissimo rischio.

IL FUTURO – “L’invecchiamento della popolazione, la diffusione della patologia aterosclerotica coronarica ed i sempre più complessi trattamenti con impianto di stent e bypass aortocoronarici, conducono i pazienti a sopravvivere sempre di più e sviluppare gradi di complessità di malattia sempre maggiori. Questa opzione terapeutica  – conclude Stipo – è efficace e sicura, speriamo in futuro di poterla replicare e adottare stabilmente”.

Ma tra la speranza e la realtà ci sono i tagli lineari praticati alla sanità del Lazio e il dispositivo in questione costa 7000 euro. La scelta tocca alla Asl.

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