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LA TESTIMONIANZA

Dolori paralizzanti e due mesi di cure per una puntura di Chikungunya. La storia di Mario

Il professor Mastroianni: "La maggior parte delle diagnosi sono state fatte in retrospettiva". A Latina più di 200 casi

Il professor Claudio Mastroianni

LATINA –  Una puntura di zanzara a settembre, un po’ di febbre, poi la terribile sensazione di essere paralizzato: i movimenti delle gambe e delle braccia impediti, la corsa al Goretti in ambulanza, le prime analisi che evidenziano un forte stato infiammatorio e un lungo percorso di cura e riabilitazione che dopo più di due mesi non è ancora terminato. La storia è quella di Mario (lo chiameremo così), un professionista di Latina che ci ha raccontato della sua disavventura con la Chicungunya, la famigerata zanzara tigre che trasmette un virus generalmente non pericoloso, ma che, in qualche paziente, può portare sintomi e conseguenze pesanti. E’ questo il caso. Diagnosi difficile e cure sbagliate, prima di capire. “E’ uno dei tanti di Chicungunya diagnosticati in retrospettiva”, ci ha spiegato il dirigente di malattie infettive all’Umberto I di Roma, Claudio Mastroianni che fino a poco tempo fa ha diretto proprio la Uoc del Goretti di Latina, ora affidata alla guida della professoressa Miriam Lichtner.

IL RACCONTO – “Erano i primi di settembre e ricordo perfettamente la puntura di quell’insetto a strisce gialle e nere su un braccio – racconta Mario – il malessere dei giorni successivi, un senso di spossatezza, fino a quando una sera praticamente non mi muovevo più: gambe, spalle, braccia, erano come paralizzate. Aprii la porta in maniera rocambolesca al 118 perché ero solo in casa. Al Goretti, dopo alcune analisi, mi fecero un toradol e passò tutto, ma il giorno dopo stavo ancora male e andai dal medico”. Mario non aveva collegato quei fatti alla zanzara tigre e non lo hanno fatto neanche i medici.

55 GIORNI PER LA DIAGNOSI – Da qui  una serie di esami tra cui una lastra e poi la risonanza magnetica che evidenziò un forte stato infiammatorio, un’artrite inspiegabile rispetto alle condizioni di salute del paziente, che fu messo in cura con antiinfiammatori. “Visto che non andava molto meglio, decisi di andare al Policlinico Umberto I di Roma”. E’ il momento della diagnosi: Chicungunya. Sono passati 55 giorni.

“Ne sto uscendo ora, dopo più di due mesi, prendendo cortisone e facendo terapia riabilitativa. Ho ripreso a guidare, perché per un periodo non ho potuto farlo e resto perplesso di fronte a tutta questa situazione. Scarsa informazione, quasi omertà. Mi è stato anche detto che a Latina i casi non sono stati certo poche unità. Quando ad ottobre sono arrivato a Roma, al Goretti se ne contavano  almeno 40 accertati e molti altri sospetti. Allora mi chiedo perché nessuno abbia collegato i miei sintomi a quelli prodotti dalla  Chicungunya”.

IL RACCONTO

L’INFETTIVOLOGO – “Non è stato facile all’inizio, anche per noi infettivologi e per i virologi orientarci – spiega Mastroianni – Spesso il virus trasmesso da questa zanzara causa banali virosi, qualche volta influenza con febbre e dolori, che passano da soli; solo raramente i sintomi sono quelli riferiti dal paziente di Latina e in genere questo avviene negli anziani”.

“Del resto Chicungunya – aggiunge il professor Mastroianni – in lingua swahili significa ciò che si curva, che si contorce ed è proprio descrittivo della posizione che il paziente assume a causa dei fortissimi dolori articolari che non paralizzano affatto, ma rendono molto doloroso e quindi impossibile il movimento. E’ il dolore in sostanza che limita fortemente la mobilità degli arti. E quando passa richiede spesso le cure del reumatologo”.

LA CASISTICA  – Per la cronaca: Latina ha raggiunto il numero di circa 200 casi accertati quando la malattia era già passata (il numero è approssimativo). Più basso invece, il numero dei pazienti in cui il virus era ancora attivo quando è stato fatto il prelievo di sangue. A occhio e croce, trecento? Altro che tre o quattro casi come si era detto e scritto a settembre sulla base delle informazioni ufficiali.

Molte, dicevamo, le diagnosi effettuate in retrospettiva: “Il virus attivo si trova nel sangue solo per pochi giorni – spiega ancora Mastroianni che è docente universitario di Malattie Infettive del Polo pontino della Sapienza – ma gli anticorpi restano. Molti pazienti, soprattutto dopo che è stata osservata l’epidemia ad Anzio, sono stati richiamati e diagnosticati a posteriori. Come pure qualcuno è stato certamente contagiato e non se ne è nemmeno accorto”.

“Nel futuro, con il riscaldamento climatico – conclude il prof – si andrà incontro sempre più spesso a situazioni nuove, e il problema che abbiamo avuto prima dell’arrivo del freddo potrebbe ripresentarsi a primavera. Occorre essere molto scrupolosi con le disinfestazioni”.

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