
Gli avvocati di Latina protestano fuori dal Tribunale (foto archivio)
LATINA – Ha annunciato la convocazione per oggi di un Consiglio straordinario e urgente, il presidente dell’ordine degli Avvocati, Gianni Lauretti dopo l’intervento informale, ma comunque pesantissimo e probabilmente decisivo, del Presidente della Corte d’Appello di Roma che in relazione allo scandalo alla sezione fallimentare di Latina avrebbe invitato il Presidente del Tribunale di Latina Catello Pandolfi ad evitare di conferire incarichi fallimentari a professionisti della provincia pontina e addirittura del Lazio.
Nella veste di “Coordinatore dell’Unione degli Ordini Forensi del Lazio” ed ex presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Latina, interviene sull’argomento anche l’avvocato Giovanni Malinconico che esprime “indignazione profondissima e preoccupazione che, in un giudizio così sommario e grossolano, si squalifichino e si delegittimino anche le persone serie e le istituzioni che hanno operato ed operano in modo onesto, corretto e misurato”.
LA POSIZIONE DEI COMMERCIALISTI – Oggi anche l’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Latina ha espresso preoccupazione. “Se confermato, il fatto sarebbe grave e non troverebbe il consenso di questo Ordine, in quanto circostanza incomprensibilmente sanzionatoria per tutte le categorie professionali interessate”, si legge in una nota nella quale i commercialisti rimarcano che “l’esistenza di un sistema corruttivo, messo in evidenza dai noti accadimenti delle scorse settimane, non può e non deve significare l’automatica perdita di onorabilità, affidabilità e professionalità dei tantissimi commercialisti e professionisti pontini, estranei ai fatti in parola. Differentemente si realizzerebbe una immotivata penalizzazione per tutti i professionisti non coinvolti nelle inchieste o mai incaricati dal Tribunale”. Per evitare di cadere in una “logica giustizialista” e ferma restando l’ “esigenza di fare piazza pulita” il Consiglio dell’Odcec di Latina indica nella rotazione, trasparenza e pubblicità dei compensi l’unica soluzione possibile come argine.
INSORGE L’SSOCIAZIONE NAZIONALE AVVOCATI – “La notizia lascia davvero increduli e, non risultando allo stato alcuna fonte formale, questa Associazione considera ogni valutazione prematura e ritiene giusto attendere che il Presidente della Corte d’Appello opportunamente la smentisca”, invita il presidente della sezione di Latina dell’Associazione Nazionale Avvocati Italiani, Armando Argano sottolineando che “la messa al bando di due categorie professionali, perché taluno di essi è rimasto coinvolto in gravi indagini, sarebbe davvero degna della proscrizione sillana” ed è come se “il coinvolgimento di un Giudice in quelle stesse indagini inducesse la messa al bando di tutti i Magistrati di Latina, una logica aberrante”.
L’INTERVENTO DI MALINCONICO – Intervengo sul tema dello scandalo che ha coinvolto una parte (e sottolineo solo una parte) degli addetti alla sezione fallimentare del nostro tribunale, perché ritengo grave, ove confermata, la posizione del Presidente della Corte d’Appello di Roma il quale, secondo quanto si legge, avrebbe svolto un intervento informale nei confronti del Presidente del Tribunale di Latina invitandolo ad evitare di conferire incarichi fallimentari a professionisti della nostra provincia e addirittura della nostra regione, sembrando preferibili professionisti campani. Ed intervengo non solo in via istituzionale nella mia veste di “Coordinatore dell’Unione degli Ordini Forensi del Lazio” e di ex presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Latina, ma anche a titolo strettamente personale, in ragione di una indignazione profondissima, superata solo dalla preoccupazione che, in un giudizio così sommario e grossolano, si squalifichino e si delegittimino anche le persone serie e le istituzioni che hanno operato ed operano in modo onesto, corretto e misurato.
Lo scandalo ha coinvolto un magistrato, un cancelliere ed alcuni professionisti. È poi emerso che la gran parte degli incarichi fallimentari conferiti di quel magistrato o su sua indicazione riguardavano pochissimi operatori, come pochi giorni fa evidenziato da un pregevole studio condotto e pubblicato dall’Ordine dei Commercialisti. In presenza di tale situazione, dire che non possono essere conferiti incarichi a professionisti della nostra provincia e della nostra regione, equivale a dire che vi è un clima di sospetto generalizzato nei confronti di tutti, ma localizzato al nostro stretto contesto territoriale, che non consente di fidarsi più di nessuno.
Proseguendo su questa linea dovremmo forse dire che allora il sospetto generico e cieco travolge chiunque, dovendosi arrivare a ipotizzare che anche tutti i nostri magistrati ne resterebbero toccati, sia pure per mero dubbio?
È una logica inaccettabile.
A Latina operano magistrati – tutti gli altri, senza distinguo – integerrimi e competenti, così come operano professionisti, nella stragrande maggioranza, integerrimi e competenti. Per essere precisi, a Latina vi sono oltre duemila avvocati (per limitarci a questi), a fronte di uno sparuto manipolo di persone coinvolte.
Perché allora gettare una luce di così grande discredito su un intero ceto professionale, coinvolgendo anche chi, in passato, non ha potuto lavorare presso l’ufficio coinvolto dallo scandalo proprio per aver scelto la legalità e perché non integrato nel sistema su cui si sta indagando? Perché queste persone oggi dovrebbero portare una patente di disonestà che gli ripugna e li coinvolge in modo ingiustissimo? E perché poi questa patente dovrebbe coinvolgere i professionisti di una intera regione, quasi che qui, nel Lazio, avessimo tutti una speciale inclinazione alla disonestà, alla contiguità ed all’interesse privato a discapito di quello pubblico?
Comprendo che in un clima di sospetto diventi difficile distinguere le persone di cui ci si può fidare. Ma soccorre qui, come non mai, l’unico strumento che deve orientare i pubblici uffici e, più in genere, una comunità consapevole ed evoluta: la collaborazione istituzionale.
Le rappresentanze istituzionali delle professioni di Latina e del Lazio hanno avuto condotta specchiata, che non ha dato motivo di alcun sospetto, il che le rende interlocutori credibili ed affidabili (per limitarmi all’Ordine che ho rappresentato per undici anni, il Consiglio aveva chiesto ed ottenuto di non avere incarichi dagli Uffici giudiziari, anche prima che tale preclusione fosse poi sancita nella legge professionale oggi vigente, rinunciando così a possibili fonti di lavoro e di guadagno solo per evitare qualsiasi sospetto). Forte della propria posizione di trasparenza, il Consiglio dell’Ordine egli Avvocati, anziché assumere un atteggiamento pilatesco e connivente, ha più volte denunciato che il conferimento degli incarichi del Tribunale in qualche caso dava adito a dubbi, e ciò non perché si fosse conoscenza di fatti specifici, ma perché una gestione personalistica degli incarichi e dei compensi è comunque sintomo di cattiva amministrazione e può celare fatti anche molto gravi, come purtroppo è poi emerso, e va quindi evitata per principio. Proprio in una comunicazione formale del gennaio 2013, l’Ordine degli Avvocati chiedeva all’allora Presidente del Tribunale che fosse data pubblicità agli incarichi ed ai compensi disposti dal Tribunale e che, come avveniva in altri virtuosi tribunali italiani, si desse corso a delle buone prassi, affidandosi a criteri condivisi e concertati di trasparenza, rotazione, formazione culturale e competenza. In tal modo, si era cercato di offrire all’istituzione giudiziaria la conoscenza che gli Ordini hanno dei loro iscritti e l’applicazione di criteri che garantissero un servizio scevro da personalismi e improntato sulla onestà, sulla professionalità e sulla specializzazione, in spirito di serena e fattiva collaborazione.
Le nostre richieste caddero nel vuoto e nessuna risposta da allora ci è mai stata fornita.
Io non so se e quanto l’intervento informale del Presidente della Corte d’Appello pubblicato oggi dalla stampa sia avvenuto realmente nei termini riportati, ma se così fosse, occorrerebbe dire che si tratta di un intervento sbagliato ed inaccettabile nei tempi, nei modi e nei contenuti.
L’Istituzione Giudiziaria, se vuole realmente ribadire la propria legittimazione, dovrà dimostrarsi capace di operare sul territorio, valorizzando le risorse di competenza, deontologia e professionalità che la nostra provincia e la nostra regione offrono in modo adeguato ed in misura pari – se non superiore – ad altre regioni, invece che guardare altrove con un atteggiamento che varrebbe invece ad accreditare invece la sensazione di una sua incapacità a svolgere il proprio compito: compito che può essere riassunto nel dovere di operare sul territorio proprio al fine di tutelare gli onesti, distinguendo chi si muove nell’illecito da chi invece, seppur soffrendo ed affrontando un quotidiano difficile ed arduo, rivendica l’orgoglio di procedere a testa alta sulla via della legalità, tanto più gli Avvocati che della legalità, al di là di ogni facile retorica o dileggio, fanno l’oggetto della loro esperienza esistenziale oltre che della loro vita professionale.
Per i motivi che ho detto, auspico dunque che la notizia trapelata non corrisponda alle parole ed alle intenzioni del Presidente della Corte d’Appello, a cui chiederò per vie formali un pronto chiarimento e che la richiesta di riprendere un percorso di concertazione e di prassi condivise, di recente formulata nuovamente dal Presidente del Consiglio dell’Ordine Lauretti a Latina venga prontamente recepita: nella consapevolezza che un buon ceto professionale costituisce una risorsa importantissima ed insostituibile per qualsiasi società evoluta e matura e che Latina ha tale risorsa, che va difesa e preservata, con la collaborazione di tutti: anche e soprattutto delle Istituzioni Giudiziarie.
Giovanni Malinconico (Coordinatore Unione degli Ordini Forensi del Lazio).
