LATINA – Non bastano computer o software aggiornati perché una scuola sia digitale. Occorre piuttosto stravolgere l’insegnamento ridisegnando ruoli e scopi per farlo “parlare” con i nativi digitali e traghettarlo così verso il futuro. Facile? Non proprio. Resistenze? Qualcuna. Durata del percorso? Praticamente infinita. Voglia di mettersi in gioco? Tanta. Perché farlo? Perché la scuola altrimenti non avrà più senso.
Parte da qui il viaggio intrapreso dal liceo psico-pedagogico Manzoni di Latina con l’aiuto di due esperti, Stefano Moriggi, storico e filosofo della scienza, docente universitario come Paolo Maria Ferri, docente di Tecnologie didattiche e Teoria e tecnica dei nuovi media, entrambi professori a Milano Bicocca. “E’ una sfida culturale – spiega Moriggi – significa cambiare il contesto dell’apprendimento facendo diventare l’aula una piccola comunità di ricerca aumentata dalle tecnologie. A parole è facile, ma nella pratica significa mettere in discussione quella tradizione dentro cui siamo nati, cresciuti e abbiamo imparato a studiare e a insegnare”. Cambia il dialogo tra cattedra e banco, meno sbadigli e più interazione e il percorso dell’apprendimento prende vie fin’ora inesplorate.
DA NATIVI DIGITALI A SAPIENTI DIGITALI – Semplicemente partendo dal dato che la digitalizzazione non è un percorso di aggiornamento informatico, la scuola diretta da Paola Di Veroli ha messo a studiare prima di tutto i professori e poi con loro gli alunni di cinque classi terze “fianco a fianco negli stessi banchi per imparare ad imparare e insegnare ad insegnare, nelle aule allestite nella modalità 3.0”.
«La scuola dovrebbe essere l’agenzia che insegna ai nativi digitali a diventare sapienti digitali. I docenti italiani sono bravi, ma insegnano soprattutto in modo analogico con una modalità che va dal centro alla periferia e poi lo studio a casa. I nativi, invece, sono abituati, soprattutto per i videogiochi, a muoversi dentro gli schermi facendo delle cose», aggiunge Ferri.
La rivoluzione culturale da cogliere, allora, per gli insegnanti, i genitori e gli alunni – dicono dal Liceo Manzoni – non è quella, banalmente, di imparare ad usare il computer o qualche programma a rapida obsolescenza, quanto piuttosto quella di utilizzare criticamente la tecnologia educando ad una oramai ineludibile cittadinanza digitale.
“Un punto centrale anche ai fini dell’esperienza che stiamo facendo al Manzoni – spiega Moriggi – è che sempre di più bisognerà decostruire l’istruzione e costruire l’educazione. I ragazzi, soprattutto nei contesti aumentati dalle tecnologie devono essere aiutati a tirar fuori quello che sanno o possono imparare, devono diventare soggetti critici capaci di gestire la conoscenza e le emozioni che la rete proporrà e non solo contenitori di concetti, formule e nozioni. L’educazione deve diventare una pratica di emancipazione dei singoli. Se si manca questo bersaglio si finisce per perdere e uscire sconfitti da quella che è una sfida culturale”.
Quest’anno gli studenti cureranno dunque alcuni progetti lavorando con le nuove tecnologie in aule trasformate in piccole comunità di ricerca seguite da insegnanti chiamati a mettere a sistema un nuovo modo di insegnare . Al Manzoni dopo lo scetticismo iniziale, i lavori vanno avanti e aumenta l’entusiasmo da parte dei più conservatori. “E i ragazzi, anche i più svagati, trovano una motivazione che prima faticavano a trovare”, assicura Moriggi.
IN TV CON AUGIAS – L’idea è piaciuta anche a Corrado Augias che il 10 aprile ospiterà una rappresentanza della scuola di Latina nella trasmissione Quante Storie su Rai 3 per raccontare l’esperienza e condividerla come pratica possibile per altre scuole di tutta Italia.
Ne abbiamo parlato su Radio Luna con il professor Stefano Moriggi ASCOLTA