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Telefono in classe, dopo il caso Majorana, la riflessione di Gianmarco Proietti

Il docente è stato assessore alla pubblica istruzione della prima giunta Coletta

LATINA – Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera del docente ed ex assessore alla pubblica istruzione del Comune di Latina, Gianmarco Proietti sulla vicenda che in questi giorni ha tenuto impegnati i media di tutta Italia sulla vicenda del divieto di uso dello smartphone in classe, stabilito con circolare dal Liceo Scientifico Majorana di Latina (e comunque vigente con modalità più o meno simili in tutte le scuole superiori  del capoluogo).

La cosa più utile, decisamente oltre la cronaca, sarebbe un serio dibattito che, al di là delle singole vedute sull’episodio specifico, coinvolga la società tutta per provare ad arrivare a nuovi traguardi educativi che non siano solo meri tentativi di tenere in equilibrio, in uno stesso ambiente, cose e mondi ormai molto distanti fra loro. Senza dimenticare che il rispetto delle regole è parte essenziale del vivere civile e che il cellulare è oggi di fatto un “luogo” della mente dei ragazzi.

IL TESTO INTEGRALE DELLA LA LETTERA

UNA PORTA VERSO UN LUOGO EDUCATIVO
Quanto accaduto nel Liceo Majorana, vicenda che ha destato l’attenzione della stampa locale e nazionale, credo inviti tutto il mondo degli adulti ad una riflessione profonda che non si esaurisca alla mera analisi del fatto di cronaca. La circolare del Liceo che impone che al mattino il cellulare venga depositato in una apposita scatola predisposta e ripreso all’uscita, è motivata da reiterati casi di cyberbullismo, da comportamenti scorretti nei confronti di alcuni docenti e dal fatto che lo smartphone è considerato un elemento distrattore e incentivante l’isolamento dal gruppo.
È oggettivo e indiscutibile che nelle ore di lezione, a scuola, sia doveroso stare attenti e seguire quelle regole indispensabili e certe e che sia dovere dei docenti e di tutto il personale scolastico farle rispettare, come è dovere di ogni studente rispettarle.
Il cyberbullismo però, come ogni comportamento scorretto, risponde a responsabilità personali, che possono anche essere di natura penale. Non credo sia educativo trasferire la responsabilità dell’uso scorretto di un mezzo sul mezzo stesso o soprattutto ipotizzare che la scorrettezza del suo utilizzo sia genericamente diffusa: in questo modo si deresponsabilizza chi ha commesso abusi e si getta discredito su ogni adolescente. Mentre da un lato sono tante le iniziative messe in campo dallo stesso liceo Majorana come da tutte le scuole secondarie e primarie, per prevenire questo reato, frutto inevitabilmente di un disagio personale, è altresì amaro prendere atto che le scuole non hanno gli strumenti per intervenire alla radice di questo disagio che non si risolve solo vietando, controllando e punendo.  Anche la distrazione degli adolescenti concentrati nello schermo dello smartphone, non può essere vinta dalla sola proibizione come pure neanche da una lezione affascinante. In un tempo in cui abbiamo ansia di voler comunicare davvero tutto di noi, dove i social sono sempre più popolati da adulti, prossimi all’età senile, inesperti di tecnologie e senza rispetto di alcun confine, gli adolescenti urlano il loro essere, anzi, il loro esserci, marcando una differenza, come è nella loro natura umana e come hanno sempre fatto dando voce al loro dissenso o al loro dolore, con silenzi o parole più o meno composte. E comunque in quel mondo virtuale loro, più che noi, vivono pienamente e realizzano parti ormai essenziali del loro processo di integrazione. E gli adulti dovrebbero percepire queste differenze e queste fragilità e, restando nel mondo degli adulti, contrapposto, porsi domande di senso e pensare a come essere modelli credibili ai quali quei giovani possano scegliere di rivolgersi, se ne sentono il bisogno. Parlo volutamente di “mondo degli adulti” e non solo della scuola, perché, e questa storia ce lo ricorda amaramente, se gli adulti si dividono e si schierano gli uni contro gli altri, i ragazzi saranno di nuovo soli e abbandonati.
Altra riflessione, indotta dalla vicenda, è quel richiamo alla possibilità di un uso “didattico” dello smartphone. L’informazione di cui il docente era fonte esclusiva, oggi è accessibile in modo straordinariamente rapido e gratuito. Qui ci si gioca la credibilità. Le tecnologie moderne hanno aperto opportunità per attività educative multidimensionali e creato uno spazio educativo. Una sfida importante consiste nel rendere la scuola il luogo più interessante di questo spazio. Quel telefono potrebbe essere, se ben utilizzato, una porta verso un luogo educativo nuovo che possa trasformare le classe in veri e propri laboratori, non solo didattici. 
Gianmarco Proietti 

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