ASCOLTA RADIO LUNA ASCOLTA RADIO IMMAGINE ASCOLTA RADIO LATINA  

in parco falcone e borsellino

25 aprile, Coletta: “Dobbiamo essere tutti costruttori di pace”

La cerimonia della Liberazione alla presenza del Prefetto Falco e del delegato della Provincia De Amicis

LATINA – Anche Latina ha celebrato il 25 aprile. In Parco Falcone e Borsellino le autorità e le forze armate per ricordare il momento in cui la Resistenza vinse sulla dittatura. Tante citazioni e l’inevitabile paragone con il dramma della guerra in Ucraina, poi l’ appello a tutti “a essere costruttori di pace” nel discorso del sindaco di Latina Damiano Coletta che qui riportiamo integralmente.

IL DISCORSO  – Il 25 aprile come ogni anno ricorre la Festa della Liberazione della Repubblica Italiana, una festa altamente simbolica perché ci ricorda la fine dell’occupazione nazifascista e la nascita della Repubblica democratica. È un giorno di Liberazione, di Pace, di Democrazia, di Diritti e di Eguaglianza.

Tutti gli anni, persino durante la pandemia, ho celebrato, come Sindaco di Latina, la festa della nostra Liberazione e questo è, per me, sempre motivo di grande onore. Ma questo anniversario assume un significato particolare e tragico: di nuovo in Europa c’è una guerra che provoca massacri, bombardamenti sulla popolazione civile, violenza sulle donne, fame, lutti, profughi, devastazioni di intere città.

Io credo che la guerra sia il male assoluto e credo che solo la pace può assicurare un futuro alle prossime generazioni, così come la pace ha reso possibile la ricostruzione e, aggiungo, il benessere del nostro paese.

Ma questo significa anche che la Resistenza Italiana aspirava alla libertà, alla giustizia e, aggiungo, alla pace e alla pacificazione con i nemici e gli avversari, anch’essi italiani. La lotta di liberazione riscattò il paese e lo fece padrone del proprio destino. Un destino di libertà, sancito dalla Costituzione.

La Costituzione che, ai nostri occhi e fuori da ogni retorica, è la Costituzione più bella del mondo. È stata scritta dai padri costituenti e rappresenta ancora oggi la linea di demarcazione della nostra libertà, dei nostri diritti fondamentali e delle nostre garanzie.

La guerra produce orrori: i nazisti invasori (e va detto alcuni collaborazionisti italiani che non furono migliori quanto a umanità) torturarono in modo sistematico e scientifico, assassinarono partigiani, massacrarono le popolazioni civili, deportarono gli ebrei e gli oppositori nei campi di sterminio, impiccarono ragazzini di sedici anni, bruciarono case e chiese. I luoghi simbolo sono molti, alcuni tristemente noti come Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, via Tasso, le numerose ‘Villa Triste’ che è l’appellativo dove venivano torturati i partigiani da bande come la Koch e la Carità, il Sacrario delle Fosse Ardeatine, Porta San Paolo; altri meno noti come il quartiere di Roma del Quadraro, dove i nazisti operarono un feroce rastrellamento, la Cascina Raticosa sopra Foligno dove 24 giovanissimi partigiani furono deportati nei lager; altri del tutto sconosciuti e ricordati, oggi, dalle ‘pietre d’inciampo’ poste sui portoni delle case dei rastrellati e degli arrestati.

Fecero parte della Liberazione cattolici, comunisti, monarchici, giellisti, socialisti, liberali ma anche cittadini italiani fuori dalla politica come Gino Bartali che salvò 800 ebrei italiani e che per questo è stato riconosciuto Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem o Mike Bongiorno che fu impegnato come staffetta e per questo fu imprigionato e rischiò la fucilazione.

La Resistenza, però, non fu solo armi e guerra. Il popolo anonimo che sopravvive alla fame, ai rastrellamenti, alla borsa nera che non denuncia i partigiani, anzi li aiuta. La chiamavano, ingiustamente, ‘zona grigia’, ma erano anche loro resistenti, nel senso resistevano all’occupazione. Sacerdoti che accoglievano ebrei a rischio di deportazione, le sette suore di S. Vittore pieno di ebrei e antifascisti, partigiani furono i militari italiani che scelsero la prigionia e i lager, invece che essere arruolati nella R.S.I., Carabinieri come Salvo D’Acquisto, finanzieri, scout, crocerossine e gli operai del nord Italia che difendevano le fabbriche e ne impedivano lo smantellamento e i contadini che sfamavano i partigiani. In quello scenario va ricordato il fondamentale ruolo delle donne, partigiane combattenti, staffette o semplicemente persone pronte a dare il loro apporto anche preparando una pentola di minestra o recuperando abiti civili per i militari in fuga dopo lo sbandamento dell’esercito italiano. Ma, forse per la prima volta, pronte a decidere in prima persona da che parte stare, al di là dei vincoli familiari e della società del tempo.

Il bene e il male non si separano con il rasoio. Gli uomini che scelsero Mussolini e l’alleanza con i tedeschi non si comportarono tutti allo stesso modo pur sapendo che erano destinati alla sconfitta. Molti tra di loro erano convinti della propria coerenza, pensavano di servire l’onore della patria, in sostanza, erano in buona fede, anche se dalla parte del torto. A loro non va mai negata la pietà, né il riconoscimento della propria coerenza.

La letteratura evoca e rappresenta le mille contraddizioni e i molteplici stati d’animo del bene e del male. Vittorini, Cassola, Calvino, Pavese, Fenoglio, Morante e, lasciatemi aggiungere, Antonio Pennacchi lo dimostrano. Nel “Partigiano Johnny” di Beppe Fenoglio, due fratelli sono schierati su fronti avversi, uno nelle file dei partigiani e uno dei ‘repubblichini’, due fratelli legati indissolubilmente e che temono la notizia della morte dell’altro (e si disperano perciò). Antonio Pennacchi spiega bene e racconta il profondo legame, nella riscattata bonifica pontina, con il fascismo e il mito del Duce, ma racconta anche le contraddizioni di Latina postfascista e neoindustriale.

E c’è stata una grande letteratura in Italia che ha narrato le contraddizioni della resistenza come nella strage di Porzùs in cui fu ucciso il fratello di Pier Paolo Pasolini; come c’è stata una grande stagione nel neorealismo cinematografico che ha in qualche modo riscattato il paese.

Lasciatemi riprendere ora alcune considerazioni sulla guerra in Ucraina. Io credo, senza evocare paralleli tra la Resistenza Italiana e la resistenza ucraina, che la storia non si ripeta allo stesso modo. Io credo, però, che resistere a un esercito invasore che provoca massacri come quelli di Bucha e che bombarda i civili inermi, sia giusto e legittimo. Non esiste una Resistenza giusta o una Resistenza sbagliata. Esiste la Resistenza davanti alle atrocità della guerra.

È questo che assegna un’identità, un’idea di libertà e i diritti conseguenti a un popolo, quel popolo che nel nostro caso riscattò e progettò la rinascita italiana. Il popolo ucraino sta cercando di difendere il diritto di decidere il proprio destino. La democrazia, lo sappiamo, è imperfetta, ma la dittatura e un uomo solo al comando è molto peggio. Porta inevitabilmente alla guerra.

È un momento della storia in cui tutta l’umanità sta cercando di resistere ad un nemico rappresentato dal virus della pandemia. Lo stiamo combattendo attraverso i comportamenti che fanno riferimento ai valori della conoscenza, della consapevolezza, della solidarietà, della capacità di tendere la mano a chi rischia di restare indietro.

Allo stesso modo dobbiamo cercare di essere tutti costruttori di pace e, anche da questo luogo della nostra storia, dal parco Falcone e Borsellino, giunga l’appello di tutta la comunità di Latina rivolto a tutte le forze politiche del pianeta affinché attraverso la mediazione, la diplomazia, il dialogo si ponga fine a questa assurda guerra in nome della pace ed a difesa della dignità di ogni essere umano.

Perché ognuno di noi può e deve essere un costruttore di pace, ce lo hanno ricordato più volte Papa Francesco ed il Presidente Sergio Mattarella.

Il rispetto della dignità è un valore ed un impegno che riguarda tutti noi attraverso i comportamenti quotidiani e deve partire soprattutto da chi occupa ruoli istituzionali o politici. Per saper dare il “buon esempio”.

Cito le parole del Presidente Mattarella nel suo recente discorso di insediamento in cui ha fatto più volte riferimento al valore della Dignità.

“Dignità è opporsi al razzismo e all’antisemitismo (e mi piace ricordare la cittadinanza onoraria conferita a Liliana Segre e a Sami Modiano il 25 marzo del 2021). Dignità è impedire la violenza sulle donne. La nostra dignità è interrogata dalle migrazioni, soprattutto quando non siamo capaci di difendere il diritto alla vita, quando neghiamo nei fatti la dignità umana degli altri. È innanzitutto la nostra dignità che ci impone di combattere senza tregua la tratta e la schiavitù degli esseri umani. Dignità è contrastare la povertà. Dignità è non essere costretti a scegliere tra lavoro e maternità…”.

È in nome di questi valori, sanciti dalla nostra Costituzione, che si costruisce la pace.

Ed è anche in nome di questi valori che Ernesto Rossi, Eugenio Colorni ed Altiero Spinelli elaborarono il Manifesto di Ventotene che fu pubblicato nel 1944. La grandezza di questi uomini sta nell’aver visto, al di là delle apparenze, la linea evolutiva profonda della storia contemporanea. Ebbero la forza intellettuale di lanciare l’idea degli Stati Uniti d’Europa. Un impegno per creare le condizioni istituzionali e sociali per rendere le nostre democrazie durevoli nel tempo in opposizione ai sovranismi imperanti del tempo. Un concetto di Europa per garantire la pace. E voglio ricordare il nostro amato Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli con le parole pronunciate ad Assisi il 10 ottobre del 2021: “L’Europa deve dimostrarsi capace di diventare uno strumento di pace, un progetto per il bene di tutti, capace di proteggere le persone, sostenere le imprese, investire nell’uguaglianza, nel progresso sociale e nel benessere economico”.

Infine, due parole sull’ANPI, sul suo ruolo e sulle sue funzioni.

Per me l’ANPI rappresenta e custodisce la memoria della liberazione dell’Italia e permettetemi di ringraziarli per il loro costante lavoro quotidiano rivolto soprattutto alle nuove generazioni. Le migliaia di testimonianze dei e delle resistenti e dei sopravvissuti/e rappresentano la memoria della nostra identità. Occorre ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti/e, perché senza la loro testimonianza non ci sarebbero i fatti e neppure la memoria dei fatti. La Resistenza non è patrimonio di una fazione, né di un partito, è patrimonio della nazione, della nostra Repubblica.

Citando Giorgio La Pira: “La Resistenza fu la rivolta legittima contro la coscienza umana coartata ed il suo valore rimane immutabile, nel tempo”.

Confido che questo 25 aprile in tutta Italia non sia un momento divisivo, ma sia un momento di unità per tutto il nostro Paese.

Viva la Resistenza, viva la Costituzione, viva la Repubblica Italiana!

Clicca per commentare

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

In Alto