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l'inchiesta

Karibù, Liliane Muraketete si dice “estranea ai fatti”. La compagna dell’on. Sumahoro si difende dopo la misura interdittiva

La donna e il deputato parlano attraverso i legali

LILIANE MUREKATETE DELLA COOP KARIBU’

LATINA –  “La signora Murekatete si dichiara assolutamente estranea rispetto ai fatti contestatile, che peraltro riguardano un presunto danno erariale di 13mila euro, e siamo certi che a breve, anzi a brevissimo, verrà fatta chiarezza e dimostrata la totale innocenza della mia assistita”. Così in una dichiarazione ufficiale Lorenzo Borrè, legale di Liliane Murekatete, compagna del deputato Sumahoro coinvolta nello scandalo sulla gestione dei migranti in provincia di Latina, dopo che, questa mattina, la Procura della Repubblica di Latina ha applicato nei confronti del consiglio di amministrazione della cooperativa Karibu, composto da Liliane Muraketete, da sua madre Marie Therese, e da altri familiari, imparentati con il deputato Sumahoro. La misura emessa dal gip del Tribunale di Latina e notificata dalla Guardia di Finanza, è il divieto di contrattare per un anno con la pubblica amministrazione e di esercitare per lo stesso periodo imprese e uffici direttivi di persone giuridiche. Praticamente uno stop totale all’attività di accoglienza migranti svolta con la coop.

Dopo la notifica, attravreso la sua legale Maddalena Del Re è stato lo stesso onorevole Soumahoro a dirsi ” profondamente amareggiato, dispiaciuto e preoccupato per l’indagine che vede coinvolta direttamente la mia compagna Liliene Murakatete che confido dimostrerà la sua innocenza”. Il deputato ha anche ribadito la sua “totale estraneità ai fatti contestati sull’indagine della Coop Karibù e del Consorzio Aid, di cui, come più volte affermato, non ero a conoscenza, nel prosieguo delle indagini, sempre più alla luce del sole, continuerò a impegnarmi nella mia attività politico-parlamentare sui temi che hanno da sempre caratterizzato il mio impegno”.

Nell’inchiesta della Procura di Latina è stata anche applicata la misura del sequestro preventivo a fini di confisca di oltre 639mila euro considerati “profitto del reato” nei confronti di uno dei sei indagati e di oltre 13 mila nei confronti di altri due per fatture “per operazioni inesistenti” emesse tra il 2015 e il 2019.

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