(nella foto lo chef Simone Nardoni con la moglie e socia Ilary e il figlio Matteo)
TERRACINA – Uno spaghetto di calamaro (ovvero un calamaro crudo lavorato come una tagliatella molto sottile) condito con un’emulsione di un particolare peperoncino peruviano, lime e latte di cocco è valso a Simone Nardoni la sua prima Stella Michelin: “Un piatto molto fresco, un insieme di sensazioni, acide, piccanti, penso sia stato uno dei piatti più riusciti in questi dieci anni di cucina e penso sia stato il mio punto di forza”, racconta lo chef e patron del Ristorante Essenza di Terracina (prima a Pontina) gestito con la moglie Ilary Mandatori: “Ci siamo divisi il lavoro a metà, lei si occupa di tutto quello che non è cucina”.
Raccontaci com’è andata? Ti sei accorto che erano arrivati gli assaggiatori? Avevi capito che stava arrivando la Stella?
No, in realtà sono clienti normalissimi, non te ne accorgi. Prenotano, entrano, mangiano, pagano e vanno via, si confondono con la clientela giornaliera, è uno dei puti di forza della Guida Michelin che non nasce per l’ego degli chef, ma per indirizzare la clientela. Poi tornando indietro con la mente e dai piatti che hanno caricato sul sito, credo di aver capito chi erano. Dire che avevamo capito che la Stella sarebbe arrivata no, ci speravamo, certo.
Dove hai studiato? Eri un bravo studente?
Ho fatto l’Alberghiero, prima a Fiuggi, poi ho finito il corso a Formia, ma non mi sono mai applicato tantissimo, mi alzavo alle cinque per raggiungere la scuola e l’unica cosa che riuscivo a fare quando arrivavo era stare attento, la voglia di stare sui libri non c’era proprio. Ma ho cominciato a lavorare subito nei fine settimana, vicino casa, per le cerimonie. Era un massacro fisico, ma mi caricavo di adrenalina, è quello che mi sono andato a cercare, non mi ha obbligato nessuno.
E qual è la cosa della cucina che fin da ragazzo ti ha colpito di più?
La frenesia del servizio, il fatto che in un lasso di tempo prestabilito devi essere il più veloce e preciso possibile. E poi devi fare una sfida con te stesso per essere sempre più bravo.
Attorno a te sta crescendo una scuola di ragazzi che ti aiutano, la tua brigata?
E’ quasi la mia seconda famiglia, trascorriamo insieme 13-14 ore al giorno ed è importante che capiscano l’importanza del progetto. Il ristorante non è una fabbrica, ha delle dinamiche tutte sue e in alcuni giorni l’impegno richiesto può essere maggiore, è fondamentale la partecipazione di tutto il gruppo.
Ci sono voluti dieci anni, tantissimo impegno e i tuoi giovanissimi 33 anni di età per raggiungere questo risultato. Che cosa succede ora?
“L’arrivo della Stella è stata una grandissima soddisfazione, ci abbiamo lavorato tanto costruendo la nostra storia giorno dopo giorno, ma quando la conquisti pensi a ripartire, perché hai un grande responsabilità; cresce l’ambizione e la voglia di arrivare sempre più in alto. Non è un arrivo è una nuova partenza“.
Hai ricevuto tanti telefonate e messaggi, ti ha chiamato anche qualche collega famoso?
“Una lettera della famiglia Alaymo del Ristorante Le Calandre (Massimiliano Alaymo è stato il più giovane chef italiano ad avere le Tre Stelle); e poi Enrico Bartolini, lo chef tre stelle del Mudec. Sono alcuni dei miei punti di riferimento e li vedo come la vetta della montagna che ho appena cominciato a scalare e ogni giorno l’impegno è, un passo alla volta, avvicinarsi alla vetta“.
Hai detto una nuova partenza. Ci lasci con una suggestione, dove si indirizza la tua ricerca?
“Ho avviato una ricerca dopo un pranzo nel ristorante di un amico, per me un maestro che ha sempre cercato di indirizzarmi, e mi ha detto: sei a cinquanta metri dal mare, indirizza la tua ricerca nella profondità marina, per tirare fuori l’essenza del mare. Stiamo lavorando su questo“.
L’INTERVISTA SU RADIO IMMAGINE